Vita e Pensiero | Gli interrogativi sulla IA non finiscono mai.

Rimane prioritario il problema di come regolamentare questa tecnologia. Ad esempio, se l’IA generativa diventa parte integrante del sistema tecnico, saremo in grado di accorgerci di errori e bugie?

Roberto Presilla

 

Nella newsletter Ellissi del 27 giugno Valerio Bassan si chiede se dobbiamo considerare lintelligenza artificiale come un prodotto o come una funzione(feature). Nel primo caso, scrive Bassan, “si intende, solitamente, un oggetto o sistema tecnologico che può essere commercializzato. Il Web è un prodotto, così come le app, gli smartphone, i servizi antivirus e i provider e-mail”. Nel secondo caso pensiamo a una caratteristica (la traduzione letterale di feature) che svolge un’azione specifica e che risolve un problema specifico: potrei fare l’esempio del tergilunotto posteriore, che è una caratteristica di alcune auto, non di altre. Nel caso dell’IA generativa, se pensiamo a un prodotto potremmo fare riferimento a un oggetto che serve ad accedere l’IA stessa; se pensiamo a una funzione, potremmo guardare alla “Apple intelligence”, un insieme ibrido di funzioni che si integrerà in quanto già esistente.

Sembra intuitivo pensare ai prodotti, anche se pensati per determinati contesti tecnologici, come a qualcosa di isolato” (standalone) – una app può essere installata oppure no – mentre le caratteristiche sono parte di un prodotto più ampio: da un punto di vista metafisico, insomma, non c’è una grande differenza rispetto alla distinzione classica tra sostanza e accidente.

Se guardiamo alla storia della tecnologia, il XX secolo è stato caratterizzato dalla diffusione di beni di consumo di massa. Henry Ford volle un’automobile “in ogni garage”: la produzione di massa poteva essere sostenuta solo da un consumo di massa. La diffusione dell’automobile ha cambiato il volto delle nostre città e della nostra civiltà: ne è prova la persistente difficoltà a immaginare il futuro senza le automobili. Insieme al prodotto (il modello T) Ford ideò il “Ford Service”, la manutenzione a basso costo perché l’automobile rimanesse un bene durevole.

Altri beni di consumo – come i televisori – sono entrati nelle nostre case con effetti altrettanto pervasivi. Lo stesso è accaduto con il personal computer, che nel 1977 ha cominciato a diffondersi grazie anche all’Apple II di Jobs e Wozniak: la possibilità di avere un piccolo elaboratore in casa, completamente autonomo, rivoluzionò un mercato dedicato solo alle grandi istituzioni, che potevano permettersi sia i grandi calcolatori dell’epoca sia le sale piene di terminali per accedere ai calcolatori stessi.

La diffusione di nuovi prodotti si è accompagnata alla creazione di nuovi servizi: per i televisori erano necessarie trasmissioni e canali, per i computer sistemi operativi, programmi ecc. Il software è stato presentato come un prodotto, ma sin dall’inizio Apple lo ha pensato come una caratteristica delle proprie macchine, puntando a un sistema autosufficiente (con uno stile assai simile a quello di Ford, che credeva nell’integrazione verticale e si produceva le materie prime e i semilavorati). È chiaro che la tendenza all’integrazione è sostenuta da ragioni economiche: oggi i giganti del mondo digitale non vogliono perdere le loro quote di mercato e per questo puntano a integrare le svolte tecnologiche all’interno dei loro prodotti, un po’ come fanno i produttori di automobili con tutto ciò che riguarda il digitale.

La trasformazione non è limitata ai prodotti che abbiamo visto: basti pensare agli smartphone acquistati presso un fornitore di servizi di telecomunicazioni, pagando una rata fissa per loggetto e per i servizi telefonici. Oppure prendiamo il browser web, che è diventato una “caratteristica” più o meno trasparente del dispositivo che usiamo (sia esso un pc, uno smartphone, un tablet, una smart tv, un’automobile…).

 

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