Anche in Ucraina termina il lungo inverno e arriva la primavera. Ma questa potrebbe essere una pessima notizia per la popolazione di quel Paese. Perché quest’anno l’offensiva contro gli avversari, se ci sarà, saranno i russi ad avviarla e non gli ucraini. Che l’anno passato l’annunciarono in pompa magna e però la fallirono.
Da allora molte cose sono cambiate. All’insegna della disillusione, anticamera della depressione. Lo sconforto che si propaga giungendo a indebolire lo spirito più indomito, generando il dubbio fatale: che non si possa vincere, che ogni sforzo risulterà vano.
È questo lo spirito col quale gli ucraini rischiano di affrontare la nuova primavera e la calda estate. Dopo aver martellato con missili mirati sulle città e in particolare sui luoghi ove i militari ucraini si addestrano, e dopo aver conquistato una cittadina dall’alto significato simbolico – Audiivka, “porta d’accesso” al Donbass – i russi potrebbero ora aver programmato una offensiva su vasta scala forti della loro superiorità numerica e nell’approvvigionamento di munizioni, droni, missili.
Per lunghi mesi europei e americani al di là delle parole sempre di sostegno hanno lesinato gli aiuti invocati con sempre maggior insistenza e sempre minor risultato dal Volodymyr Zelensky, dal 2022 per gli occidentali icona quasi pop con la sua perenne maglietta verde militare e ora invece quasi caduto in disgrazia dopo il fallimento dell’operazione di riconquista tentata la scorsa estate. Nel frattempo l’invasore si è riorganizzato, ha ridefinito la propria strategia, si è rinforzato logisticamente ed ha avviato una pervasiva guerra di logoramento.
Puntando sui due punti più deboli di Kyiv, peraltro ammessi ai quattro venti dalle stesse autorità ucraine: la carenza di munizioni e, più grave ancora, la mancanza di uomini da inviare al fronte. Quelli che lì vi sono, lo sono da oltre due anni e sono esausti. Comprensibilmente.
Solo nelle ultime settimane si sono registrati due eventi nuovi. Da un lato il Parlamento USA ha finalmente sbloccato i 61 miliardi di dollari promessi da Biden ma tenuti bloccati per mesi dai repubblicani a Washington; e dall’altro Zelensky ha – con difficoltà e solo perché consapevole del dramma profilantesi – abbassato il limite minimo d’età per la leva obbligatoria, aumentato quello temporale della ferma e bloccato i passaporti per tutti gli uomini di età inferiore ai 60 anni. Una sorta di generale chiamata alle armi seguita alla sostituzione del popolare capo delle Forze Armate Valerij Zaluznyj con Oleksandr Syrski, assai meno noto e popolare e per di più di etnia russa.
L’insieme di tutti questi elementi ha prodotto a livello interno un netto calo del consenso per il Presidente, al quale qualcuno comincia a imputare il fallimento della lotta alla corruzione, da sempre endemica nel Paese e che infatti era stata il cavallo di battaglia di Zelensky durante la sua vincente campagna elettorale, e al quale qualcuno sta inoltre domandando di rivedere la decisione di rinviare le elezioni presidenziali che avrebbero dovuto tenersi quest’anno ma che per evidenti motivi sono state rinviate a data da destinarsi.
Il fronte interno, dunque, anche quello politico e non solo quello militare, non è più così solido. Un ulteriore punto a vantaggio del Cremlino. Che venne di fatto sconfitto, nel 2022, dalla determinazione, dal senso di appartenenza, dall’andrenalina degli ucraini tutti: una vera sorpresa, inaspettata, per i russi. Ma se il morale viene meno, se l’unità nazionale mostra delle crepe, se i capi politici e militari vengono più o meno velatamente posti in discussione allora il rischio del crollo diviene reale. E con esso, forse, la necessaria riconsiderazione della situazione per quella che è.
Potrebbe anche accadere che dopo l’estate un fronte diplomatico orientato alla trattativa si possa aprire. Ma nel caso, a quel punto, il vincitore delle elezioni americane sarebbe decisivo. E i due competitor non sono per nulla la stessa cosa. Anche per Kijv. E per Putin.