Lo abbiamo già detto molte volte e lo ripetiamo. Il voto del 4 marzo ha cambiato profondamente gli equilibri della politica italiana. Si è trattato di un vero e proprio voto spartiacque, cioè di un cambio di fase politica. E quando crolla un sistema, seppur non attraverso la via giudiziaria come capitò con la fine della prima repubblica o con un sovvertimento violento delle istituzioni democratiche – cosa, per fortuna, impensabile ed improbabile nell’Occidente democratico – di norma travolge anche quei pilastri che, nel bene o nel male, hanno rappresentato l’epicentro di quel sistema. Nel caso specifico, il Partito democratico, detto in altri termini Pdr, ovvero il partito di Renzi, e Forza Italia di Berlusconi. Due partiti che, non a caso, sono stati seccamente sconfitti il 4 marzo e che, da quel momento, hanno perso anche la bussola dell’orientamento politico. Il Pd perennemente bloccato dalle sue bande interne, da una classe dirigente inamovibile – una sorta di “casta” intoccabile e perpetua – e dall’incertezza sulla strada da intraprendere e, specularmente, Forza Italia avviata inesorabilmente verso il progressivo ma inarrestabile declino politico e fisiologico della sua struttura originaria.
Ora, anche se il dibattito resta appassionante e simpatico su come ristrutturare e rilanciare quei due partiti, credo che quasi tutti sanno che il futuro politico nel nostro paese non passa più attraverso quei due partiti. Del resto, per fermarsi al Pd, ma lo stesso discorso riguarda ed investe la vicenda politica di Forza Italia, il tramonto del cosiddetto “partito plurale” ha certificato l’esaurirsi di quelle due formazioni politiche. Da questa semplice ma incontestabile affermazione, arriva la necessità di ridar voce, spessore e qualità alle tradizionali identità politiche, che certamente vanno modernizzate, riviste e riattualizzate ma che, comunque sia, vanno rilanciate nella concreta dialettica politica italiana. Del resto, in questo processo di ristrutturazione politica e culturale, i primi passaggi – quelli più importanti – sono già arrivati. È decollata una nuova destra, moderna, di governo, post ideologica, con profonde ramificazioni nello scacchiere europeo e in tutto il mondo. Una nuova destra incarnata e rappresentata in modo impeccabile dalla Lega salviniana. E, di conseguenza, si è progressivamente consolidato un populismo anti sistemico e qualunquista, seppur con scarsa capacità di governo e con una balbettante prospettiva politica. Il movimento di Grillo e Casaleggio. Frutto di una mancanza di cultura politica da un lato e con una debolissima classe dirigente a livello nazionale e a livello locale dall’altro, come l’esperienza concreta sta platealmente dimostrando, ma che comunque riscuote un consenso popolare di grande importanza.
Ora, prima o poi anche la travagliata esperienza del Pd arriverà ad un punto di caduta. Ovvero, o rinascerà un ridotto partito della sinistra, una sorta di Ds aggiornato e rivisto, oppure se proseguirà con una gestione balbettante ed incerta come quella attuale, il suo esito finale sarà inesorabilmente segnato: ovvero l’irrilevanza politico e culturale.
Ed è proprio in un quadro del genere che è necessario ricostruire, rilanciare e riproporre in chiave laica e moderna la cultura e l’esperienza del cattolicesimo popolare, sociale e e democratico. Una presenza che non ha la pretesa di ricoprire un ruolo che ha contrassegnato quella esperienza storica per molti lustri nella vicenda politica Italia ma che, al contrario, si pone in un ottica di servizio e di contributo al fine di ridare qualità alla nostra democrazia, solidità alle nostre istituzioni e con un progetto di governo che sappia coniugare sviluppo e difesa dei ceti popolari senza inseguire promesse mirabolanti o dispensare ricette populiste che dimostrano, prima o poi, di aver il fiato corto e, soprattutto, di non riuscire a dare risposte credibili e convincenti alle giuste istanze dei cittadini italiani. Una presenza politica ovviamente organizzata che sappia anche ricomporre quel vasto e variegato mondo di cattolici più sensibili e maggiormente disponibili, rispetto anche solo ad un recente passato, a “scendere in campo” oggi ma che, al contempo, rischiano di arenarsi quando si deve passare dalle parole ai fatti, come si suol dire.
Ecco perché questa rinnovata presenza politica, culturale, programmatica ed organizzativa richiede, almeno in una fase iniziale, di essere guidata e coordinata da persone – uomini e donne – che hanno una maggior dimestichezza con le regole e le leggi non scritte della politica. E con una possibile visibilità nazionale. Una fase di transizione, appunto, che sia capace di rilanciare un