5 domande a… Ciro Cafiero “Il lavoro che cambia. La nuova prospettiva solidale”. Intervista su “Comunità di Connessioni”.

Lassociazione Comunità di Connessioni, animata da P. Francesco Occhetta, ospita sul suo sito lintervista allautore del libro che Famiglia Cristiana, la rivista dei Paolini, ha portato recentemente in edicola.

Nelle prime pagine del tuo ultimo libro Il lavoro che cambiaaffermi che «lItalia è disoccupata per generazione, per genere e per territorio». Come si declinano questi tre punti?

Con questi tre punti, intendo sottolineare che la disoccupazione italiana è un fenomeno più verticale che orizzontale, è verticalizzata soprattutto su tre categorie: 1) su giovani e anziani, cioè sulle generazioni, visto che i primi scontano più difficoltà ad accedere nel mondo del lavoro e i secondi invece sono vittime di violente estromissioni dal circolo produttivo quando mancano politiche di invecchiamento attivo; 2) sulle donne, cioè sul genere, visto che, come i giovani, accedono difficilmente al mondo del lavoro e, quando sono dentro, sia per mancanza di serie politiche di conciliazione dei tempi di vita e lavoro, sia per un retaggio culturale sbagliato, in caso di eventi critici sono le prime ad abbandonarlo. Durante la pandemia, i posti di lavoro persi riguardano nel 75% dei casi loccupazione femminile. Nel dicembre del 2020, la percentuale è salita addirittura al 99%, tanto che il Fondo Monetario Internazionale ha definito She-cessionquesto fenomeno; 3) sul Sud, per la depressione industriale che tradizionalmente vive, e perché in molte località mancano politiche di conciliazione dei tempi di vita e lavoro. Loccupazione invece cresce dove queste politiche esistono. È per tutte queste ragioni che, nel nostro Paese, non bastano ricette generiche per il contrasto alla disoccupazione, ma servono terapie specifiche per i soggetti che ne sono colpiti.

Spesso guardiamo al lavoro dal solo punto di vista numerico (quanti occupati in più, quanti in meno), senza considerare gli aspetti legati alla qualità delle attività che vengono svolte e del rapporto di lavoro che viene instaurato. Pensiamo alla situazione dei rider o di molti lavoratori nei servizi di cura, anche domestici. Nel libro parli dellimportanza di affrontare il problema delloccupazione cattiva: precaria, povera e senza tutele adeguate. È un destino inesorabile per molte persone o c’è possibilità di un cambiamento?

Con questa domanda, hai toccato il nervo scoperto del nostro mercato del lavoro. Nel Paese, la flessibilità, quella buona nellottica di studiosi come Biagi, che è utile ad assecondare le mutate esigenze delle imprese, si è trasformata in cattiva o, in altre parole, in precarietà. Il lavoro precario è povero e senza tutele adeguate. Peggio c’è solo il lavoro nero. Il caso dei rider è il risultato drammatico di questo fenomeno. Ma nulla è perduto: lo sottolineo anche nel volume, che non vuole essere lennesimo canto del cigno, come spesso accade quando si dibatte di lavoro, ma uno stimolo a sfide possibili. La soluzione ce la consegnano i modelli già adottati negli Usa, in Gran Bretagna e, in parte, in Germania. Occorre creare uno statuto di diritti basilari comuni ai lavoratori subordinati, già molto garantiti, e agli autonomi, semi-autonomi, che spesso lavorano, nonostante la differente veste giuridica, come fossero subordinati ma senza le relative tutele, dei precari poco garantiti. Questa soluzione non spaventa le imprese che ricorrono alla flessibilità sana, perché esse già riconoscono i diritti che spettano ai lavoratori, ma andrebbe a danno soltanto di quelle aziende che abusano di questa flessibilità rendendola precaria. Lo chiede lOrganizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) che promuove il c.d decent work, mentre la Chiesa, già da anni, invita ad aggettivareil lavoro per renderlo dignitoso: libero, partecipativo, creativo e solidale. 

In che modo il fenomeno della denatalità è legato ai peccatidella situazione occupazionale italiana? Quali potrebbero essere gli effetti sulla società ma anche le soluzioni?

La denatalità è il frutto avvelenato dei peccatiche sconta il nostro mercato del lavoro. Quando il lavoro non c’è, o se c’è è precario, povero, nero, senza tutele, conflittuale, carente di politiche di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per i genitori, le coppie rimandano la scelta di avere figli. A spingerli, è il timore di non poterne sostenere la crescita in assenza di certezze sul lavoro. Invece, nellottica dei Padri costituenti, la famiglia è il frutto più prelibato che il lavoro dovrebbe generare e proteggere. È la prima formazione sociale in cui la persona fiorisce, entra in relazione con laltro. Il lavoro deve mirare a garantire la dignità della persona e la sua autorealizzazione, come ci ricorda larticolo 3 della Costituzione. Il giusto salario, proporzionato e sufficiente, è solo uno strumento in questa prospettiva e non un fine. Il 2050 rischia di essere un annus horribilis con 300 mila nascite. Per evitarlo, prima ancora che puntare sullimmigrazione, occorre lavare il nostro lavoro dai peccati che sconta. Così, la natalità tornerà a crescere. Altrimenti, si rischia di piantare un albero su un terreno che non è fertile: prima o poi, appassirà come gli altri prima di lui.

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Chi è Ciro Cafiero (sua presentazione)

“Sono nato nel 1984. Sono napoletano. A 18 anni, sono andato via da casa per studiare a Roma. Ho vissuto una straordinaria esperienza universitaria, occupandomi peraltro di associazionismo studentesco. A 24 anni, mi sono laureato in giurisprudenza con il massimo dei voti. A 27 ho conseguito il diploma di specializzazione. Da quasi dieci anni, esercito lattività legale ed oggi sono il socio fondatore di un Studio che, per fortuna, cresce. Da quando avevo anni 20 anni, mi interesso di diritto del lavoro e delle relazioni industriali, di cui scrivo su riviste scientifiche, su vari siti, compresi Aspenia e “Lavoce.info” e di cui parlo qualche volta in RAI. Collaboro con la cattedra di diritto del lavoro presso università come la Luiss e la Lumsa.