Balcani occidentali, un’area instabile e sempre a forte rischio.

Come sempre, da quelle parti, una situazione intricata. Ulteriormente complicata dalla composizione etnica di questi paesi, con frequenti momenti di tensione che si riflettono sulla gestione politica di ogni singolo Stato.

Non solo l’Ucraina. Anche l’intera area balcanica occidentale è di estremo interesse per Vladimir Putin. Non lo ha mai negato. Anche lì vi sono legami storici, culturali, religiosi, con il “Mondo Russo” cui frequentemente fa riferimento il capo del Cremlino. È inutile ricordare quanto l’instabilità balcanica abbia inciso pesantemente sui destini dell’intero continente europeo ed è quindi immediata la consapevolezza dell’importanza di quell’area territoriale. Che è sottoposta ad una frizione non facilmente gestibile e dunque potenzialmente esplosiva. Osserviamo, sia pur in breve, la situazione un poco più da vicino.

Alcuni paesi sono in lista d’attesa per l’entrata nell’Unione Europea. Bosnia-Erzegovina, Albania, Macedonia del Nord hanno avviato l’iter di adesione. Le ultime due, fra l’altro, sono già oggi membri NATO, così come la Croazia (che è pure membro UE) e il Montenegro. Ad oggi la Serbia, fedele alleato della Russia, non intende guardare verso Bruxelles ma non è un mistero che a Belgrado vi siano più voci che al contrario richiedono al governo un cambio di prospettiva. La Bosnia-Erzegovina (o, meglio, una sua parte) vorrebbe, ora, poter entrare nell’Alleanza Atlantica, mutando il suo status attuale. Così, pure il Montenegro desidererebbe entrare a pieno titolo nel club europeo in un futuro che auspica non lontano.

Come sempre da quelle parti, una situazione intricata. Ulteriormente complicata, e non poco, dalla composizione etnica di questi paesi, che produce frequenti momenti di tensione e determina problemi significativi alla gestione politica di ogni singolo Stato. Occasione per la Russia di offrire una protezione alla minoranza serba in Kosovo tramite un aiuto diretto alla Serbia di natura economica e finanziaria – ma anche militare – teso a rafforzare le posizioni ultranazionaliste già di per sé forti a Belgrado e naturalmente in radicale dissenso con ogni ipotesi di adesione alla UE.

Occasione per la Russia, ancora, di offrire sostegno alla minoranza serba nella delicatissima vicenda nazionale della Bosnia-Erzegovina, il paese più complicato fra quelli sorti dalla disgregazione della Jugoslavia. Un paese, fra l’altro emblema della guerra in quei territori per la presenza di città-martiri quali Sarajevo e Mostar, i cui cittadini (solo 3,4 milioni dislocati però su un’area abbastanza vasta) sono appartenenti a due distinte entità: la Federazione di Bosnia ed Erzegovina e la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina (Srpska), così come definito dagli accordi di Dayton del 1995.

Sempre al limite, la tensione periodicamente si accresce per poi diminuire e ripresentarsi successivamente. Sono soprattutto i serbi ad alimentarla minacciando una secessione che, facendo saltare il compromesso di Dayton, farebbe inevitabilmente saltare lo Perché e con esso la sua possibile adesione alla UE o quella, più probabile, alla NATO. Milorad Dodik, il membro serbo della presidenza tripartita, con frequenza regolare adombra la possibilità di una dichiarazione di indipendenza dei serbi che vivono nella Repubblica Srpska. Con evidente soddisfazione e discreto sostegno del Cremlino, ovviamente.

E poi c’è la religione, che gioca la sua parte. Non contribuendo, purtroppo, alla pacificazione degli animi. Seguendo uno schema che abbiamo già visto all’opera nella vicenda ucraina la Chiesa ortodossa russa alimenta e supporta le rivendicazioni di quella serba: ad esempio nei confronti di alcuni luoghi di culto kosovari, entrando così in un terreno minato già di suo causa il conflitto permanente fra la maggioranza albanese ortodossa e la minoranza mussulmana. E soprattutto offre una copertura religiosa a quel pan-slavismo che è da sempre la possibile miccia già innescata per un’esplosione conflittuale delle tensioni esistenti faticosamente controllate da un assetto istituzionale molto articolato e dunque molto difficile da garantire nel tempo. Senza dimenticare che nei Balcani occidentali transitano le pipeline che conducono a occidente il gas proveniente dall’Asia Centrale passando per la Turchia: è evidente la loro strategicità geopolitica e di conseguenza l’interesse nei loro confronti degli attori in campo, da quello militare (NATO) a quello economico e politico (UE). Ma anche del terzo attore, ubicato a Mosca e interessato ad evitare, oggi, la discesa in campo degli altri due. Perché quel campo interessa a lui, domani.