14.1 C
Roma
martedì, Febbraio 11, 2025
Home Giornale8 settembre 1943: mancando lo stato, Castellano fece da solo.

8 settembre 1943: mancando lo stato, Castellano fece da solo.

Da Villa Savoia a Cassibile: l'odissea del Generale. Fu una corsa contro il tempo per salvare l'Italia. Con Castellano operò anche Montanari: entrambi appartengono alla storia come artefici segreti dell'armistizio.

Il Generale pratese di origini siciliane Giuseppe Castellano non fu solo colui che l’8 Settembre del ’43 firmò per l’armistizio per l’Italia (‘Italia’ in senso lato, visto che andò a Cassibile senza alcun foglio di delega, per cui gli Alleati lo rispedirono a Roma, e alla fine il Re lo accontentò con un mandato scritto), ma fu anche colui che il pomeriggio del 25 Luglio assunse l’iniziativa di organizzare l’arresto di Mussolini a Villa Savoia, dal Re. D’accordo aveva il Generale Giacomo Carboni, che con il Generale Ambrosio – in ambito militare quindi, indipendentemente da Grandi e Ciano e dal Gran Consiglio del Fascismo – studiavano da tempo lo sganciamento dalla Germania e dalla guerra.

Ma Castellano, uomo semplice ma coraggioso, dai poteri limitati, che aveva una idea del dover essere al servizio del futuro della Patria, anche quando non sembrava ve ne fossero le condizioni, fu soprattutto quello che visse in prima persona e seppe condurre tutto il rocambolesco processo che dalla nomina di Badoglio a capo del governo portò infine il Re ad accettare la resa incondizionata, chiamata ‘short military armistice’  – 12 brevi punti di una riga ciascuno -, firmata a Cassibile, vicino Siracusa, il 3 Settembre 1943: consegna di tutte le armi, esercito, marina, aeronautica, etc. etc.

Nei vertici militari e nel Consiglio della Corona non c’era unanimità. Quest’ultimo, nella sua seduta del 7 Agosto 1943, approvò alla fine la decisione di uscire dalla guerra ma solo a maggioranza di due terzi. Al Consiglio della Corona del 1° Settembre che accettò le clausole dell’armistizio corto – ovvero della resa incondizionata – il Sovrano fu inspiegabilmente assente.

D’altra parte proprio l’8 Settembre il Re in un incontro con l’Ambasciatore tedesco Rudolf Rahn gli ribadì l’indissolubilità dell’alleanza con la Germania (“…dica al Führer che l’Italia non capitolerà mai”).

Tali rassicurazioni erano state date pochi giorni prima ai tedeschi anche da Badoglio e Ambrosio. Mentre giurava questo, Badoglio metteva in salvo a Losanna figlia e nuora. Insomma, da una parte Castellano da solo dovette dimostrare agli Alleati che l’Italia aveva capito le loro richieste; dall’altra doveva, sempre da solo, sgusciare fra i paletti, i freni, le assurde e comiche contro-condizioni con cui il Re e Badoglio volevano si trattasse, al solo scopo di rimanere al potere in quei drammatici frangenti, e per di più pretendendo il sostegno militare e ‘politico’ degli Anglo-Americani.

“Etiamsi omnes, ego non”: Castellano comprese come doveva agire e per questo si dimostrò essere l’uomo giusto al momento giusto. Rischiare di persona: scegliere da solo come comportarsi. Cosa dire. Cosa fare.

Quando il 12 Agosto del ’43 Castellano viene mandato a Madrid in incognito, in zona franca (impiegherà tre giorni di treno), per primi contatti con gli Alleati, incontra nella capitale spagnola il Console italiano a Lisbona Franco Montanari.

Montanari ha trentotto anni, è stato funzionario del Ministero degli Affari Esteri e nel 1936 ha intrapreso la carriera diplomatica. Era figlio del Generale Carlo Montanari, morto sull’Isonzo nel 1915, e dell’americana Helen Day, originaria di Boston, che aveva studiato l’italiano al Radcliffe College di Cambridge, nel Massachusetts. Dopo la morte in guerra del marito, Helen Day si trasferisce negli Stati Uniti con i figli.

Franco Montanari si laurea all’Università di Harvard nel 1927, ma poi torna in Italia per continuare gli studi presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Perugia, dove di nuovo si laurea nel 1932.

Castellano, inviato in gran segreto a vedere come prendere qualche primo contatto con gli Alleati, non parla mezza parola di inglese. Decide allora di chiedere a Montanari il favore di assisterlo. Da qui nasce l’ingaggio. Entrambi si trovano così a doversi destreggiare in una missione fragilissima, mezzo ignota, e con credenziali deboli dinanzi ai primi diplomatici anglo-americani con cui cercano – molto loro sponte – convergenze. Per entrambi gli obbiettivi erano due: liberarsi dall’alleanza con Hitler e chiudere per l’Italia la guerra.

Il 25 Luglio le divisioni tedesche in Italia erano tre; Hitler ad Agosto – con l’operazione Achse (Asse) – ne fa affluire un congruo numero, e all’8 Settembre sono sedici, distinte in due potenti armate. Nelle settimane dopo l’Armistizio i tedeschi fanno prigionieri quasi 1 milione di soldati italiani, gente senza comandi e senza guide, l’ultima ruota di un carro, istituzionale e militare, in pieno disfacimento. E il peggio, soprattutto per i civili, doveva ancora venire. Per garantire la ritirata della Wehrmacht l’ordine fu di terrorizzare i territori che dovevano essere attraversati.

Castellano e Montanari, da soli, avevano fatto la loro parte, la parte in cui la Storia li aveva messi: quella di condurre in porto una delle premesse fondamentali per la Guerra di Liberazione, meritarsi – con la propria faccia – la fiducia degli Alleati (Eisenhower si vantò sempre di avere come amico uno come Castellano) e portarli a firmare una resa la meno infamante e soprattutto la meno insostenibile possibile.