È veramente paradossale! Mentre il parlamento nazionale licenzia definitivamente la legge sull’autonomia differenziata e la regione Veneto, bruciando tutte le tappe, spedisce alla premier Giorgia Meloni e al ministro per gli affari regionali Roberto Calderoli una lettera con la quale chiede ufficialmente di riaprire la trattativa stato-regione sulle nove materie previste dall’art. 116.3 cost. che non richiedono la previa definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP), l’assemblea regionale siciliana – dopo aver bocciato nel febbraio scorso con un atto di coraggio il disegno di legge presentato dal governo Schifani che reintroduceva in Sicilia le province, l’elezione diretta dei loro organi e quella degli organi delle città metropolitane – ora, presa da timore reverenziale nei confronti della corte costituzionale e da accondiscendente ossequio all’indirizzo politico statale, tenta di far approvare alla propria maggioranza (in prima commissione “affari istituzionali”) una norma (ddl. n. 738) che abbandonando ogni ambizione di riforma organica della governance locale stabilisce soltanto i termini entro i quali celebrare le elezioni di secondo grado degli organi dei liberi consorzi comunali e dei consigli metropolitani.
Naturalmente, per il vero, non è né timidezza istituzionale né sottomissione alla forza delle gerarchie politiche che spingono ad agire in questa direzione l’assemblea siciliana. Si tratta, invece, di un vero e proprio “colpo di mano”! Perché l’intento ultimo della maggioranza di governo è quello di conquistare, nelle more del cambiamento annunciato della legge nazionale 56/2014 (cd. “Delrio”), la guida di tutti e sei i liberi consorzi e delle due più grandi città metropolitane siciliane (difficile pensare che anche Messina possa essere acquisita dall’attuale maggioranza politica regionale stante la massiccia presenza del movimento Sud chiama Nord guidato da Cateno De Luca).
E così, ancora una volta, dal tentativo velleitario di dettare una disciplina riformatrice (seppure poco ponderata) del governo locale – che ormai non si regge più per la mancanza di enti di “area vasta”, per la crisi dei comuni (piccoli e grandi) e la paralisi della stessa regione ormai sommersa da poteri di gestione che non riesce più ad amministrare – si passa al solito traccheggio di discipline normative provvisorie dettate nella (peraltro illusoria) convinzione di poterle finalizzare ai propri interessi di parte. Invece che al bene ed al riscatto della Sicilia!
Anche in questo frangente della storia istituzionale che invece – come nel 1992 quando, pur essendo una regione in pre-coma, ebbe la forza istituzionale di inventarsi con la legge n. 7 l’elezione diretta del sindaco per opporsi al decadimento della politica ed indicare all’intero Paese una via d’uscita dalla crisi dei partiti e dalla decadenza della democrazia- invoca chiaramente una svolta nella governance dei territori e delle comunità locali.