Tra le figure bibliche che attraversano il tempo senza perdere il loro smalto, c’è senz’altro quella del profeta. Il profeta affascina per la sua libertà da ogni forma di potere. Per il suo essere uomo ancorato al presente. Per la sua capacità, la sua intuizione, nel leggere e nell’interpretare le vicende sociali, politiche, economiche e religiose in cui è coinvolto. Per la forza del suo esempio e della sua azione, che gli deriva dalla fedeltà alla parola e all’azione di Dio, vivente nella storia.
La polis, terra del profeta
Alcide De Gasperi (1881-1954) è stato un uomo politico dotato di capacità profetiche. Nessun altro leader del suo tempo ha avuto una vita così intensa e imprevedibile. La sua grandezza non si misura solo con quello che ha fatto come statista, ma soprattutto per la testimonianza che ci ha offerto. Come gli antichi profeti, ha indicato una strada e un metodo politico che vanno oltre la sua stessa esistenza. Ha accettato di mettersi alla guida del suo popolo, senza garanzie e senza esitazioni. Prima è stata la volta del popolo trentino, orfano e disperso durante la Prima guerra mondiale, poi quella del popolo italiano che imparò a conoscere. Quando nel 1945 assunse il compito di guidare l’Italia fuori dal deserto in cui la democrazia si era smarrita, De Gasperi aveva 64 anni. Dalle ceneri del Partito popolare ha creato un grande partito politico di ispirazione cristiana, muovendo quasi dal nulla, al punto che nel 1944 a Stefano Jacini scrive che, purtroppo, non era vero che «il seme della rinascita del partito era stato custodito dalla Azione cattolica» (1).
Ha condiviso i valori di fondo della Resistenza e ha partecipato con convinzione alla transizione democratica dal Regno alla Repubblica; ha salvato la continuità dello Stato; ha contribuito a dare al Paese una Costituzione tra le più solide; ha ricostruito le basi della collocazione dell’Italia nella comunità dei Paesi occidentali; ha allargato l’orizzonte politico europeo. Con la sobrietà del suo modo di praticare la fede, ha anticipato gli insegnamenti del Concilio Vaticano II; ha offerto un esempio di laicità e insieme di fedeltà alla Chiesa; ha impegnato i credenti per la democrazia rappresentativa, così da dare contenuto politico alla tradizione riformatrice del cattolicesimo sociale.
Soprattutto, con la sua azione tenace ha rimesso al centro la politica, mostrando che spettava proprio ad essa rimediare alla terribile crisi in cui aveva gettato l’umanità. Per De Gasperi la politica è l’unica dimensione dove la verità e le possibilità umane si confrontano alla pari. Sa che la vera politica è un sistema complesso che non tollera a lungo semplificazioni brutali. In questa luce, non esita a riconoscere lo slancio che la politica aveva saputo assicurare all’impresa economica, all’istruzione, alla cultura, anche con ottimi risultati. Con altrettanta chiarezza ne denunzia però i limiti e, più ancora, l’arroganza: quando la politica ha creduto di poter fare da sola, o di realizzare l’impossibile, di raddrizzare «il legno storto dell’umanità», di generare l’«Uomo nuovo», di sognare società perfette, ha finito per rimanere prigioniera di miti e ideologie. Non a caso, lo storico Paolo Prodi ha spiegato che l’ideologia è un derivato secolarizzato della profezia2. A partire dal Cinquecento, la profezia è stata rimpiazzata da progetti utopistici o da regimi assolutisti. In ambito ecclesiale l’attesa per il ritorno del Signore aveva lasciato il posto anche a visioni mistiche fuori dalla storia o, dopo la rottura dell’unità dei cristiani, all’azione di chi tentava di restaurare l’antico potere della Chiesa.
1 – Da Alcide De Gasperi a Stefano Jacini, luglio 1944, in Edizione Nazionale dell’Epistolario di Alcide De Gasperi, https://epistolariodegasperi.it/#/archivio_digitale/lettera?id=854f654d-1487-4a9d-8ae9-1b0f1546ebe1.