Niente da fare. Non c’è un solo giorno che sui grandi organi di informazione manchi un riferimento concreto alla Dc e al rimpianto di quella storica esperienza politica. Mi spiego meglio. Dalla politica estera ai diritti, dalla ricetta economica e sociale alle riforme istituzionali e alla cultura di
governo; e cioè, ogni tema che si affronta e che è in cima all’agenda politica contemporanea, emerge in modo concreto e neanche tanto nascosta la “voglia della Dc”. Nessuno, come ovvio, ne sottolinea e ne auspica il ritorno. Ma quasi tutti ne evidenziano un sostanziale rimpianto. E il dato curioso è che questa richiesta o rimpianto o auspicio arriva nientepopodimeno che dagli storici detrattori e contestatori di quella concreta esperienza politica e della sua classe dirigente, leader e statisti compresi. È una reazione francamente singolare ed anacronistica perchè si tratta di osservatori e commentatori che hanno sempre considerato la Dc una sorta di “inciampo della storia” nella migliore delle ipotesi se non addirittura, e il più delle volte, di una vera e proprio “associazione a delinquere”. Questo era il giudizio, abbastanza unanime, di quasi tutti gli opinion leader libereral/progressisti del nostro paese dopo l’irruzione di tangentopoli e la sostanziale criminalizzazione politica dell’intera vicenda democristiana. Basti pensare ancora alla recente lettura del Direttore dell’Unità Sansonetti che ha paragonato la Dc ad una sorta di “terrorismo armato centrista”. Cioè il vero mandante politico “dello stragismo di Stato” nel nostro Paese.
Ora, se è indubbio che si tratta di un partito consegnato alla storia, è altrettanto vero che la sua lezione politica continua ad essere di straordinaria attualità e modernità. Ma non soltanto per il progetto politico che ha dispiegato nel corso dei decenni e che, come ovvio, è frutto di quella stagione storica, quanto per il ‘metodo’ e lo ‘stile’ che ha saputo trasmettere nel sistema politico italiano. Un metodo, frutto anch’esso di una precisa e determinata cultura politica che, piaccia o non piaccia, rappresenta tutt’oggi l’unica modalità capace di saper coniugare la “cultura del comportamento con la cultura del progetto”, per dirla con Pietro Scoppola. E cioè, il profondo rispetto delle norme, dei principi e dei valori costituzionali e quindi della qualità della nostra democrazia con la bontà del progetto politico e di governo.
Certo, quando gli storici detrattori e contestatori della Dc e della sua classe dirigente nazionale e locale confrontano quella esperienza con i populisti, gli improvvisatori e i parvenu della politica contemporanea c’è semplicemente da rabbrividire. E quindi anche i vari Sorgi, Cacciari, Mauro,
Molinari, Giannini, Galli Della Loggia e compagnia cantante, devono prendere atto – seppur amaramente – che purtroppo non è ancora nata una classe dirigente e, soprattutto, una esperienza politica in grado di potere essere paragonata anche solo minimamente con quella lunga e anche travagliata pagina storica. E allora, e di conseguenza, non resta che il rimpianto e il buon ricordo. Ma, al contempo – e qui risiede la profonda contraddizione politica e anche morale della lunghissima lista di questi presunti maìtre à penser – si continua a non dare dignità politica, culturale ed etica al partito della Democrazia Cristiana.
Ecco perchè, ogniqualvolta assistiamo ad una dubbia ed equivoca riabilitazione della Dc da parte dei suoi detrattori o ad un maldestro rimpianto, non possiamo non esercitare la categoria del dubbio e del sospetto. Perché, alla fine, sempre di implacabili detrattori della Dc si tratta. Che siano antichi, attuali o postumi giudizi la diffidenza è sempre la miglior arma da sfoderare. Per il rispetto della storia, innanzitutto, e non solo della Dc.