Che Conte a Grillo non piacesse affatto lo si era capito da subito. E lo scontro in atto, che nelle prossime settimane potrebbe farsi molto duro, era non solo prevedibile ma addirittura inevitabile.
L’istrionico fondatore del Movimento 5 Stelle, colui senza il quale mai le idee e le futuribili suggestioni di Gianroberto Casaleggio avrebbero potuto concretarsi in un movimento politico dal vasto consenso popolare, non poteva accettare oltre la trasformazione della sua creatura in partito, per di più nel partito leaderistico dell’avvocato Conte.
C’è un conflitto di personalità ma c’è anche una visione diversa, molto diversa, della filosofia e della missione del movimento. Che era sorto su base nazionale per contestare alla radice, con argomentazioni per lo più populistiche e anti-politiche, favorite peraltro dalla decadenza culturale e politica dei partiti tradizionali, l’intero sistema istituzionale: un movimento d’opinione veicolato dalla rete che aveva un solo obiettivo, ovvero cacciare tutti gli altri, corrotti per antonomasia, e avviare una immaginata democrazia digitale (senza spiegare peraltro cosa essa significasse nel concreto) essenzialmente giustizialista, ambientalista, pacifista.
Meno interessato, invece, ad altre tematiche pure importanti e contemporanee, quali ad esempio le migrazioni o l’unità europea. E per nulla disponibile a farsi coinvolgere nella politica-politicante del sistema partitico (“apriremo il parlamento come una scatoletta di tonno”). Il vincolo dei due mandati dimostra(va) la coerenza con questo intendimento.
Il M5S di Conte è tutt’altra cosa. E fa specie ascoltare i suoi colonnelli dichiarare, in perfetto politichese, che le “esperienze” maturate possono essere utili (ovvero: si abolisca il vincolo),
Dopo averne cambiato lo statuto ora Conte mira dunque a prendersi per intero il partito emarginando Grillo (dopo aver fatto fuori i suoi uomini, quelli della prima ondata) attraverso un’assemblea di base organizzata puntualmente alla bisogna. Un golpe che Grillo, ancorché invecchiato e non più pungente come nei suoi tempi migliori, non può consentire.
Non può consentire al proprio ego che il vanitoso e ambizioso avvocato pugliese stravolga la sua creatura sfidandolo apertamente. Cosa che – nella sorpresa dei tanti che ne avevano apprezzato il fare presidenziale ai tempi dei suoi due governi – di fatto fece quando davanti al portone di Palazzo Chigi, dal quale era stato costretto ad andarsene, si tolse la cravatta, si sfilò la mitica pochette, e si dichiarò disponibile ad aiutare il Movimento.
Ma chi – Grillo fra questi – ne aveva osservato con una qualche perplessità il camaleontismo nel passaggio dal governo con Salvini a quello col Pd ne aveva colto la brama di potere, finanche la ferocia con la quale lo perseguiva e lo avrebbe perseguito. Dietro alla valanga di parole, a pensieri spesso poco intelligibili, all’oscurità del linguaggio e alla vaghezza dei contenuti si cela infatti un personaggio che coltiva una sola, pervicace ossessione: tornare a Chigi.
Ora, però, dopo il magro risultato elettorale europeo Conte necessita di uno scatto, per essere libero di guidare il M5S (ma cambierà anche la denominazione, questo è certo) verso lidi nuovi o pure vecchi, inesplorati o anche già percorsi, chissà. Coltivando un populismo diverso, disponibile al compromesso quando serve, al trasformismo quando utile, al radicalismo quando necessario.
Un alleato infido per Elly Schlein. Un avversario da stroncare, per Beppe Grillo.