Giulio Andreotti, la Dc siciliana e l’assassinio di Dalla Chiesa.

Di fronte ad accuse come quelle formulate dalla figlia del Generale, non si può reagire con il silenzio. No, è necessario svolgere un’opera di rilettura storica e politica seria.

Sulla dichiarazione rilasciata dall’on. Rita Dalla Chiesa non intendiamo affatto entrare nel merito. Non ne abbiamo né la competenza e né, tantomeno, la titolarità. E, tra l’altro, non intendiamo affatto sottovalutare o sminuire il drammatico lutto che, anche a distanza di 40 anni, continua a segnare i figli e tutti i famigliari del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.

Ora, sono stati scritti tonnellate di libri, di documenti e di analisi sul rapporto tra la politica e la mafia nel nostro paese E, nello specifico, parlando di ciò che capitava a Palermo e in Sicilia, del rapporto tra la mafia e la Dc di quei territori. Con l’inevitabile, e ormai scontata perchè ripetuta sino all’infinito, commistione tra la criminalità organizzata e settori della Dc, in particolare della corrente che faceva capo all’on. Giulio Andreotti.

In questa sede, però, e – ripeto – senza minimamente entrare nei dettagli di ciò che ha recentemente detto l’on. Dalla Chiesa, ci limitiamo ad avanzare due sole osservazioni. Per lo più di carattere generale.

Innanzitutto non si può continuare ad equiparare la mafia e la criminalità organizzata con la storia e l’esperienza politica e di governo delle Democrazia Cristiana. Una tesi sostenuta allegramente e disinvoltamente dagli storici detrattori della Democrazia Cristiana e che, purtroppo, continua ad essere “la” lettura prevalente della gran parte della pubblicistica della sinistra italiana post comunista e non solo della sinistra ex comunista. Perchè è ormai quasi un dato di fatto che c’erano settori della Democrazia Cristiana contigui al mondo della malavita. In particolare in alcune regioni e in alcuni territori ben definiti e circoscritti. Insomma, una lettura politica, e culturale, che porta alla banale conclusione che la storia della Dc in molte zone del nostro paese è stata sostanzialmente una storia criminale. Una tesi, francamente, inaccettabile. Sotto il profilo storico, politico, culturale ed istituzionale.

In secondo luogo, forse, è arrivato anche il momento per rileggere – senza paraocchi e senza gli ormai radicati ed atavici pregiudizi politici e personali – il magistero dei grandi leader e statisti della Democrazia Cristiana. Una rilettura utile, e anche indispensabile, non per intraprendere un processo di acritica ed anticipata beatificazione ma, soprattutto, per fugare dubbi, equivoci e fraintendimenti che, nel bene o nel male, hanno comunque accompagnato il cammino e il percorso di questi storici esponenti del principale partito italiano.

Ecco perché, di fronte ad accuse come quelle formulate dall’on. Dalla Chiesa non si può reagire con il silenzio o con una qualunquistica alzata di spalle. No, è necessario che un’opera di rilettura e di ricostruzione storica e politica seria e il più possibile oggettiva si imponga. E non solo per cercare di ristabilire una sorta di verità storica ma, soprattutto, per evitare di arrivare alla conclusione – molto gettonata in settori intellettuali, accademici e politici italiani – che la storia democratica del nostro paese dal secondo dopoguerra in poi è stata sostanzialmente una avventura vissuta in combutta con la criminalità organizzata, con il malaffare e con mondi che hanno sempre combattuto la democrazia, la libertà e la giustizia sociale. E non lo dico solo per la credibilità della Dc. Ma per la limpidezza, trasparenza e la serietà della democrazia italiana.