Tuta mimetica per politici nomadi? Meglio lasciare il popolarismo ai popolari.

Il fatto è che la cultura e il pensiero cattolico popolare e cattolico sociale sono destinati ad incidere e a condizionare pesantemente lo stesso progetto politico del partito di appartenenza.

Credo che adesso noi cattolici popolari e cattolici sociali possiamo sentirci realmente soddisfatti. E questo per una ragione persin troppo semplice da spiegare. E cioè, ormai non passa mese che non nasca una associazione o un gruppo o una corrente popolare all’interno di singoli partiti.

Bene, anzi direi benissimo. Perché questo conferma che non solo il popolarismo di ispirazione cristiana, il cattolicesimo sociale e popolare, la cultura e lo stesso pensiero popolare conservano una straordinaria attualità e modernità nell’attuale contesto politico italiano. Ma, ed è certamente questo l’aspetto più importante, la cultura e il pensiero cattolico popolare e cattolico sociale sono destinati ad incidere e a condizionare pesantemente lo stesso progetto politico del partito di appartenenza.

E sin qui tutto bene. Anzi, come dicevo poc’anzi, benissimo. C’è solo un aspetto che non torna. O meglio, che non ci è così chiaro. E che, al contempo, genera un dubbio. Ovvero, ma tutti questi gruppi “popolari” che nascono qua e là nei vari partiti sono realmente espressione della cultura, della tradizione e del pensiero del cattolicesimo popolare e sociale del nostro paese? Ci permettiamo di avanzare questo piccolo particolare non per frenare l’impeto Popolare che sale con sempre maggior forza dalla periferia italiana ma, soprattutto, per evitare che nascano equivoci o tentativi di impadronirsi di una cultura e di un pensiero quando si è mai fatto parte né di quella cultura e nè di quella tradizione. 

Con questo non vogliamo affatto dire – lungi da noi questa accusa – che esiste un monopolio esclusivo e totalizzante da parte di chicchessia del patrimonio storico del popolarismo di ispirazione cristiana. Chiunque, come ovvio e scontato, può essere espressione di questa storica e nobile cultura. Ma è altrettanto indubbio che se non vogliamo ridicolizzare, e anche umiliare, questa cultura politica non possiamo sostenere allegramente che adesso “sono tutti popolari”.

Perché delle due l’una. O c’è realmente un grande fermento culturale e politico nell’area cattolica italiana – seppur molto composita ed articolata – e allora ci sono realmente le condizioni per dar vita finalmente ad un rinnovato Partito Popolare Italiano oppure, e forse ci azzecco, si tratta di una banale e semplice strumentalizzazione di una cultura da parte di singoli esponenti per centrare obiettivi politici del tutto personali.

Pongo questo dilemma per una ragione altrettanto semplice. E cioè, se si vuole continuare a dare lustro, sostanza, prestigio, credibilità e soprattutto coerenza alla cultura politica del popolarismo di ispirazione non possiamo e non dobbiamo improvvisarci “popolari”. Perché, come amava sempre dire Sandro Fontana, non c’è cosa peggiore per sfregiare una cultura politica il gesto di sbandierare di farne parte quando si è “indifferenti e sordi” rispetto ai suoi valori, ai suoi principi, alla sua storia e alla sua tradizione. E, pur senza rivendicare alcuna e ridicola primogenitura, verrebbe quasi da dire “lasciamo il popolarismo ai popolari”. Per coerenza e non per potere o per calcolo.