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Aggiornamenti Sociali | La Parola e il potere: se la fede è strumentalizzata.

Chi ha mire di potere e interessi da difendere ricorre a ogni mezzo per raggiungere i propri scopi, perfino mascherando di religiosità imprese che nulla hanno a che fare con Dio.

«Chi sta bene s’è procurato degli “amici”, o se li può, all’occorrenza, procurare col nome, il denaro, la prepotenza, la propaganda, l’astuzia: proclamandosi, all’improvviso, patrocinatore di quelle cause e di quegli interessi, che avendo legami con profondi sentimenti naturali – religione, patria, famiglia – sono condivisi da molti. Ed ecco lo spettacolo, poco edificante ma istruttivo, di uomini senza fede che si dichiarano per la religione; di senza patria, che s’accendono di furore nazionalistico; di corrotti celibatari, che esaltano la santità della famiglia. Gli ingenui e i timorati si commuovono davanti al miracolo, e la crociata viene proclamata pro aris et focis contro il nemico comune. E chi ne paga lo scotto sono i cristiani, che, per delle verità che non vanno difese in quel modo, né in quella compagnia, si assumono la tremenda responsabilità di puntellare un ordine sociale che è la negazione dell’ordine cristiano» (Mazzolari 1979, 60-61).

Le parole di don Primo Mazzolari, tratte da un suo intervento del settembre 1945, mantengono tutta la loro attualità. Descrivono in maniera efficace un modus operandi ricorrente: chi ha mire di potere e interessi da difendere ricorre a ogni mezzo per raggiungere i propri scopi, perfino mascherando di religiosità e di difesa dei più alti valori imprese che nulla hanno a che fare con Dio e con la sua volontà di giustizia e di pace.
La Scrittura conosce e denuncia un tale uso strumentale della religione e la connessa manipolazione delle coscienze di tanti, indotti dalla propaganda a dare il proprio appoggio a iniziative che hanno solo l’apparenza del bene.

Prendiamo in considerazione il racconto contenuto nel cap. 22 del Primo libro dei Re. Narra di Acab, re di Israele dall’874 all’853 a.C., che mira a riprendere con la forza dalle mani degli aramei (siriani) Ramot di Gàlaad, un territorio di confine a oriente del Giordano, ripetutamente perso e riconquistato da Israele (cfr 1Re 20,34; 2Re 8,28-9,14). È la sorte che segna sovente la storia delle regioni contese da nazioni vicine. Rivolgendosi ai suoi più stretti collaboratori, Acab afferma: Non sapete che Ramot di Gàlaad è nostra? Eppure noi ce ne stiamo inerti, senza sottrarla al dominio del re di Aram (1Re 22,3). Motiva la decisione di entrare in guerra, facendo leva sul sentimento patriottico: quella regione ci appartiene! Occuparla non è solo nostro dovere; è un nostro sacrosanto diritto: «Egli non si limita a rendere lecito, cioè permesso, l’atto [che sta progettando]; lo rende obbligatorio, un dovere a cui non può sottrarsi» (Rizzi 1981, 10).

Acab cerca alleati. In concreto, si adopera per coinvolgere il re di Giuda Giosafat nella campagna contro gli aramei. Giosafat accetta, ponendo però una condizione: consulta oggi stesso la Parola del Signore (1Re 22,5). Chiede, cioè, ad Acab di interpellare i profeti che vivevano presso la sua reggia. È ampiamente attestato che presso le corti reali del Medio Oriente antico si trovava una corporazione di profeti, incaricati di riferire al sovrano l’oracolo divino. Prima di intraprendere un’impresa, soprattutto militare, il re era solito chiedere il responso dei profeti, per ottenere una assicurazione ufficiale della conformità di tale impresa al volere divino. Il fatto che un gruppo di profeti facesse parte dei consiglieri del re di Israele rivela che c’è un rapporto costitutivo tra Parola di Dio e realtà sociopolitica. La Parola non riguarda soltanto la sfera personale, ma chiama in causa il potere e le decisioni che esso prende nella storia concreta. Essendo però funzionari reali, i profeti di corte traevano il loro sostentamento dal servizio reso al sovrano, e ciò spiega il rischio che comunicassero solo quello che il re desiderava sentirsi dire. La loro principale preoccupazione finiva per essere quella di approvare ogni suo progetto per avere, come è detto causticamente in Michea 3,5, qualcosa da mettere sotto i denti. Quanto finora richiamato mostra, da una parte, l’uso strumentale di un valore avvertito da tanti (la difesa dell’integrità territoriale della propria nazione) e, dall’altra, l’asservimento dell’istituzione religiosa a logiche di potere.

 

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Fonte: Aggiornamenti Sociali – Novembre 2024

Titolo originale: La Parola politicamente scomoda.