Il percorso della parrocchia è una storia senza interruzioni. Sfogliando il libro dei ricordi troviamo tanta bellezza e non poche volte rimaniamo incantati da alcune pagine meravigliose, dove sembra di toccare lo Spirito con le mani. Ognuno di noi custodisce nel cuore nomi e cognomi di angeli incontrati durante il cammino, che hanno condiviso un pezzo di strada insieme con noi, sacerdoti e laici testimoni veri del vangelo. Penso qui a Roma in particolare nel secolo scorso, cosa sono state le parrocchie durante le due guerre mondiali e il dopoguerra, che punti di riferimento prezioso hanno rappresentato durante il grande fenomeno dell’urbanesimo, oppure negli anni di piombo del terrorismo, e più recentemente nella pandemia. Una storia che continua, così semplicemente nell’attesa di nuove sorprese dello Spirito.
Una storia che bisogna guardare prima di tutto dall’interno; ritengo infatti che alcune analisi sulla presunta crisi della parrocchia siano troppo esterne ad essa e provengano da intellettuali laici e chierici che non conoscono e non vivono la realtà quotidiana della parrocchia, spesso molto diversa da come la si descrive; anche in questo caso la realtà è superiore alla idea.
Vorrei subito arrivare a quello che secondo me è un punto centrale e direi decisivo: la parrocchia per essere tale, deve essere ancorata al dolore del mondo; così è sempre stato e così sarà.
Sono rimasto molto colpito da un pensiero che ho letto nella Laudato Sì al n. 19 che per analogia penso si possa applicare molto bene alla parrocchia: ”l’obiettivo è di prendere dolorosa coscienza, osare trasformare in sofferenza personale, quello che accade al mondo”.
Partecipare personalmente al dolore del mondo fa delle nostre parrocchie un luogo mistico, dove non si perde tempo a contarsi o a contare; che le parrocchie debbano contare, essere rilevanti, ben inserite nei palazzi importanti, è una tentazione di costantiniana memoria; un po’ di lievito nella pasta, un piccolo seme, un solo bicchiere di acqua fresca dato a chi ha sete, così vive e si rigenera una parrocchia. Essere legata a doppio filo al dolore del mondo costruisce giorno dopo giorno, una parrocchia senza più mura, che coincide con il territorio dove svolge il suo servizio, insieme guardando all’orizzonte dell’universo intero.
Ho sempre trovato molto illuminante nel mio servizio di parroco, l’esperienza di Filippo descritta negli Atti degli apostoli; da essa, in particolare il battesimo del funzionario di Candace, possiamo imparare molto e trovare in quel racconto speranza fiducia e incoraggiamento per l’oggi della parrocchia. Ne colgo qui solo un aspetto.
Filippo viene condotto dallo Spirito in “una strada deserta”. Abitare con gioia questa parrocchia “deserta” è una chiamata dello Spirito.
Respirare il mondo moderno con le sue contraddizioni, i suoi grattaceli e i suoi cimiteri, abitarlo ripeto, con gioia e fiducia, senza nostalgie per il passato, vivendo il nostro servizio al vangelo e al bene comune, con serenità, perché anche questo nostro tempo, magari senza rendersene totalmente conto, è aperto al Mistero, desidera trovare il senso profondo della vita. È una città che in parte ha smarrito Dio, ma non è contro Dio. Nell’uomo moderno della nostra città, che è nato qui o che viene da lontano, povero o ricco di beni, che forse si è smarrito nel deserto, spesso ferito dalla vita, rimane insopprimibile il desiderio di Dio. Sono cambiati i linguaggi, e stanno cambiando anche le strutture (meno male), ma la questione di Dio rimane, perché è lo Spirito che la suscita in ogni cuore, su ogni strada, forse specialmente su quelle deserte.
Don Francesco Pesce
Responsabile dell’Ufficio diocesano per la pastorale sociale, del lavoro e cura del Creato.