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mercoledì, Marzo 19, 2025
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Trump, sessanta giorni di furore

Tante e tutte controverse le novità dei primi due mesi di mandato presidenziale. Cosa ci attende ancora? Il tempo ce lo dirà, ma nell’immediato occorre realisticamente prendere atto che il mondo è cambiato.

Dunque, vogliamo riassumere? Giusto per ricapitolare e cercare di individuare la logica intrinseca del dinamismo trumpiano nei suoi primi due mesi di secondo mandato presidenziale.

La raffica di ordini esecutivi, di affermazioni via social, di interviste televisive ha tradotto in atti ciò che The Donald aveva promesso in campagna elettorale e che poi aveva subito ribadito all’indomani del voto, fino al davvero poco – anzi, per nulla – diplomatico discorso di insediamento, che fu un comizio irriverente nei confronti del Presidente uscente: una cosa mai vista prima di allora. La cerimonia inaugurale è stata sempre un’occasione per celebrare l’unità della nazione, non certo per proseguire con tono indurito i comizi elettorali. Con Trump ha cambiato tono, radicalmente.

In politica estera ha avviato un riavvicinamento a Putin con l’obiettivo immediato di raggiungere un accordo di pace fra Russia e Ucraina facendo pagare a quest’ultima un prezzo assai esoso, in termini territoriali e economici; ha insultato l’Unione Europea, “sorta solo per fregarci”, avvertendola che non dovrà più fare affidamento sulla protezione statunitense e lasciando intendere d’essere disposto a lasciare la NATO, per la cui sopravvivenza chiede comunque ai paesi aderenti un raddoppio, e di più, dei contributi economici per i suoi costi; ha minacciato il Canada, che dovrà divenire il 51mo stato USA;  ha dichiarato di voler acquisire “in un modo o nell’altro” la Groenlandia; ha sostenuto che il Canale di Panama dovrà tornare in possesso degli Stati Uniti e si è già mosso concretamente in questo senso; ha ridenominato Golfo d’America il Golfo del Messico. Ha affrontato il dramma di Gaza in maniera gravemente offensiva per le decine di migliaia di morti e per i suoi cittadini costretti a sopravvivere in condizioni terribili; ha dato mano libera a Netanyahu per agire come crede nei territori palestinesi della Cisgiordania; ora sta bombardando in Yemen gli Houthy, proxy iraniani, per inviare un messaggio preciso a Teheran, minaccioso quanto basta.

Ha avviato espulsioni di massa dei migranti irregolari, al momento più come effetto-show con poveracci tradotti in catene che per effettiva consistenza numerica dei rimpatri. 

È inoltre uscito da consolidati consessi multilaterali, come l’Accordo sul clima di Parigi, rivendicando il proprio negazionismo sul cambiamento climatico e anzi esaltando la necessità di un più intenso sfruttamento del sottosuolo (“drill, baby, drill”) ovunque in America, soprattutto in Alaska ma anche in futuro in Groenlandia, e non solo. E’ altresì uscito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, dando fiato e spazio ai negazionisti vaccinali, e attaccando la ricerca scientifica a suo dire poco efficiente (come se essa sia valutabile con la medesima misurazione valida per un ROI aziendale), prospettando un consistente taglio dei fondi ad essa dedicati. Ha tagliato UsAid, l’agenzia del Dipartimento di Stato dedicata a erogare fondi per gli aiuti umanitari e allo sviluppo in numerosi paesi del mondo.

Con l’istituzione del Department of Government Efficiency (DOGE) affidato all’eccentrico e spietato Elon Musk sta provando a smantellare la pubblica amministrazione, un covo a suo dire di burocrati che rubano lo stipendio e impediscono il libero fluire dello spirito imprenditoriale che è alla base del successo americano nel mondo. In realtà uno strumento per abbattere nemici e avversari, indebolendoli laddove si amministra la società. E per terrorizzare i dipendenti di ogni agenzia federale, in modo che nessuno abbia più il coraggio di mettergli i bastoni fra le ruote, come avvenuto a suo dire durante il suo primo mandato.

Prodromo di quanto fatto ai vertici di Agenzie quali CIA e FBI, ora presiedute da persone incompetenti ma a lui totalmente fedeli e per lo più ideologicamente ostili alle medesime agenzie che ora sono andate a dirigere. Avviando al contempo una serie di vendette ai danni di quanti lo hanno criticato durante gli anni della presidenza Biden o non lo hanno sostenuto nella recente campagna elettorale.

Per contro ha amnistiato gli assaltatori di Capitol Hill del 6 gennaio 2021, che del resto non aveva mai condannato e al contrario aveva giustificato, non avendo mai riconosciuto la vittoria di Biden nel novembre 2020.

E infine (ma l’elenco sintetico qui proposto non è certamente esaustivo di tutta la torrenziale e bulimica azione trumpiana di questi due mesi) ha abolito ogni programma federale inerente diversità, equità, inclusione.

Adesso ha pure deciso di chiudere Radio Free Europe e Voice of America, come volesse cancellare tutto quello che gli Stati Uniti hanno fatto nel tempo per rafforzare il proprio soft power ovunque nel pianeta. 

Cosa ci attende ancora? Il tempo ce lo dirà, ma nell’immediato occorre realisticamente prendere atto che il mondo è cambiato. Che l’Occidente non è più lo stesso. Per ora. Ma l’impressione è che davvero siamo innanzi a un crinale della Storia e che una nuova visione imperiale (americana, russa, cinese) stia prendendo il sopravvento. Un tema con il quale la vecchia Europa è ora costretta a confrontarsi. 

Ciò che però colpisce – e inquieta – è il fatto che Trump vuole far credere (non penso lo ritenga davvero ma gli conviene così) alla massa dei suoi supporter, che infatti lo credono, di essere sopravvissuto all’attentato subìto in Pennsylvania e anche a un secondo (sventato) perché Dio stesso lo ha prescelto per cambiare il suo Paese e, con esso, il mondo. Insomma, è “in missione per conto di Dio” (cit.). 

Questo utilizzo spregiudicato della religione mostra più di ogni altro atto quanto Donald Trump (e i fanatici MAGA che lo attorniano) sia ambiziosamente ansioso di portare a compimento una rivoluzione. La sua, per avere un potere senza limiti.