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mercoledì, Aprile 16, 2025
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Deriva multipolare: quando la competizione insidia la solidarietà globale

Senza un deciso cambio di rotta, il rischio concreto è di approdare a uno scenario internazionale dominato dalle dinamiche del multipolarismo, ove la cooperazione si configurerebbe come un mero ricordo e la competizione tra potenze diverrebbe la prassi consolidata.

Alla luce degli eventi recenti che hanno profondamente segnato la società internazionale, emerge un interrogativo complesso, seppur ineludibile e bisognoso di una riflessione approfondita: il multilateralismo ha esaurito la propria funzione?

La risposta, pur potendo apparire immediata, si rivela in realtà più sfumata. Ciò a cui stiamo assistendo, e che si manifesta con crescente evidenza nelle dinamiche internazionali, è un lento e pericoloso deterioramento del sistema multilaterale. Non si tratta di una semplice flessione, bensì di una trasformazione radicale nelle relazioni tra Stati, che minaccia di svilire e, nella peggiore delle ipotesi, di annullare i principi fondanti della cooperazione globale finora condivisi.

Si osservi lo scenario attuale: il multipolarismo sta emergendo non come una possibilità teorica, ma come una realtà concreta, alimentata da potenze che ambiscono a edificare un ordine mondiale basato prevalentemente sulla competizione strategica, sulla forza coercitiva e sull’imposizione unilaterale degli interessi nazionali. La questione cruciale che ci troviamo ad affrontare non concerne tanto il “se” tale sistema si affermerà – poiché è già in fase di consolidamento – quanto il “quanto” esso impatterà negativamente sulla solidarietà globale e sul benessere delle fasce più vulnerabili della società internazionale.

Per discernere la potenziale pericolosità di tali dinamiche, è sufficiente volgere lo sguardo ai principali attori geopolitici. Tra questi spicca, innegabilmente, la figura di Donald Trump. L’amministrazione statunitense, contrariamente a quanto una lettura superficiale potrebbe suggerire, non rigetta in toto il multilateralismo, ma ne contesta la sua forma tradizionale e i suoi meccanismi operativi. Trump ha infatti compreso che il principio di “America First” non può essere attuato prescindendo dalle interazioni con gli altri attori globali. Tuttavia, la sua visione strategica è chiara: la cooperazione internazionale non può fondarsi su tavoli paritari ove tutti i membri, in modo equo, negoziano soluzioni condivise. La cooperazione, nella prospettiva statunitense, deve assumere una natura asimmetrica e gerarchica, dominata dallo Stato – o meglio, dalla potenza – in grado di imporre la propria visione strategica.

Ed è qui, come facilmente intuibile, che si manifesta la vera minaccia. Una concezione darwiniana delle relazioni internazionali sta guadagnando terreno, una prospettiva secondo cui l’equilibrio mondiale non si realizza attraverso la cooperazione e la solidarietà, bensì attraverso una competizione incessante e spregiudicata. Ogni potenza, ogni Stato dotato di significativa influenza, è indotto a perseguire i propri interessi nazionali con determinazione, spesso senza vincoli di natura morale, giuridica o diplomatica. Il più forte prevale, e lo fa senza necessariamente ricorrere al conflitto armato aperto, poiché tale evenienza diviene superflua: il più debole è consapevole della propria incapacità di sostenere un confronto bellico. Il multipolarismo cela in sé questa pericolosa ambivalenza, esponendo a una guerra di potenza condotta sotto una veste differente. La competizione diviene il criterio di legittimità delle azioni statali, relegando la cooperazione tra Stati a un obiettivo secondario, se non addirittura obsoleto in un simile paradigma.

Non è arduo prevedere le apprensioni che una simile tendenza può generare nella comunità internazionale. Il ritorno a logiche di realpolitik rappresenta senz’altro una delle principali preoccupazioni. Le nazioni in via di sviluppo e i gruppi sociali più vulnerabili a livello globale potrebbero divenire le prime vittime di questo nuovo ordine mondiale emergente, ove la stabilità e la pace appaiono garantite unicamente dalla forza e dalla volontà di imporsi sui soggetti più deboli e meno influenti.

Un altro esempio emblematico di questa preoccupante deriva è rappresentato da eventi concreti e indubbiamente allarmanti. Il ritiro degli Stati Uniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità costituisce uno dei segnali più evidenti di come l’architettura multilaterale stia pericolosamente vacillando. La decisione di privare l’OMS di risorse finanziarie significative rischia di compromettere interventi cruciali quali la prevenzione di epidemie e la gestione coordinata delle emergenze sanitarie a livello globale. Questo non rappresenta un mero passo indietro, bensì un taglio netto alle fondamenta stesse della cooperazione sanitaria internazionale, con conseguenze potenzialmente devastanti per i Paesi più poveri e con sistemi sanitari fragili.

Analoghe considerazioni si applicano al ritiro dal Consiglio per i Diritti Umani. L’azione collettiva in materia di tutela dei diritti fondamentali rischia di collassare sotto il peso di un approccio unilaterale e pragmatico, ove ogni potenza agisce primariamente in base a ciò che è percepito come conveniente per i propri interessi specifici, senza una reale e sentita preoccupazione per il bene comune globale.

Le nazioni che già patiscono un sistema di potere internazionale asimmetrico saranno le prime a pagare il prezzo di questa preoccupante regressione. Il risultato finale, qualora tale linea d’azione dovesse consolidarsi come definitiva, appare evidente: un ordine mondiale in cui la cooperazione tra Stati viene sacrificata sull’altare di una competizione esacerbata e priva di una cornice etica condivisa. La globalizzazione, che aveva promesso di connettere i popoli attraverso il commercio, la tecnologia e l’innovazione, si trasforma in un inedito terreno di scontro tra egoismi nazionali contrapposti.

Ecco perché, tornando all’interrogativo iniziale, dobbiamo interrogarci con urgenza: il multilateralismo è realmente giunto al suo epilogo? La crisi che sta attraversando questo sistema non deve essere interpretata come una condanna definitiva e ineluttabile. Essa rappresenta, al contrario, un pressante invito a riflettere sulla rapidità con cui stiamo scivolando verso una condizione internazionale in cui ogni Stato agisce in modo sempre più esclusivo per il proprio tornaconto.

La domanda cruciale non è unicamente se il multilateralismo saprà resistere a queste forze centrifughe, ma se noi, come cittadini consapevoli, come Stati responsabili e come membri attivi della comunità internazionale, saremo in grado di rinnovarlo profondamente e di riappropriarci di ciò che stiamo lentamente ma inesorabilmente perdendo: la capacità di collaborare sinergicamente per un bene comune superiore, di difendere con determinazione i più deboli e di costruire una pace autentica e duratura, fondata sulla solidarietà e sulla giustizia, e non unicamente sull’equilibrio precario della forza. Il futuro è realmente nelle nostre mani, ma un cambiamento di rotta radicale e immediato si configura come una necessità improrogabile. Senza una decisa inversione di tendenza, il rischio di trovarci in un mondo dominato dai dettami di un multipolarismo competitivo e conflittuale, ove la cooperazione diverrebbe un anacronistico ricordo e la guerra di potenza la nuova norma, si fa sempre più concreto e imminente.

Ma chi può farsi carico di questa impellente necessità? Chi può contribuire fattivamente a un reale cambio di rotta? La risposta è chiara: io, noi, ma non rimandando a un futuro indefinito, bensì a partire da adesso, animati dallo sdegno, dalla forza morale e dall’indignazione di chi non è più disposto a tollerare un solo giorno in più di questo sistema iniquo, multipolare e intrinsecamente ingiusto.

 

[Intervento svolto in occasione del dibattito su Pace e multiculturalismo” tenutosi ieri, sabato 12 aprile, a Roma dal Movimento dei focolari e dal Movimento politico per l’unità. Le conclusioni sono state svolte dal Prof. Alberto Lo Presti]