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sabato, Aprile 19, 2025
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Il pensiero di Leopardi sulla politica

La politica funzionale alla ricerca della felicità. Riproponiamo per gentile concessione del direttore del quotidiano vaticano l’articolo, a firma Gabriele Nicolò, pubblicato ieri con il titolo “Leopardi tra eroismo ed egoismo”.

Il fervente appello di Giacomo Leopardi alla natura, sentita come benigna, non va inteso come irrazionalismo mistico, ma come lotta per una civiltà celebrata nella sua totalità e come impegno per valorizzare l’uomo nella sua integrità. In questo scenario si sviluppa una «biforcazione» (termine usato da Walter Binni). Da un lato si staglia l’eroismo, dall’altro lato serpeggia l’egoismo. 

Per il poeta, l’eroismo è la forma in cui l’amor proprio si traduce nell’uomo intero, generoso, attivo, poetico, nonché vicino alla natura come fu nelle epoche della classicità greca e latina. L’egoismo, invece, è il vizio, la sigla abietta dell’uomo contemporaneo che — esercitando la ragione in modo gretto — riduce la zampillante sorgente dell’amor proprio al tornaconto individuale, al conformismo interessato e impoetico. Leopardi mirava a configurare un uomo che, sulla base dell’amor proprio e dell’eroismo, sia rivolto al bene pubblico, e sia proteso al conseguimento della felicità personale pur sempre all’interno del consorzio sociale, fuori dal quale l’individuo svaporerebbe in una dimensione irrilevante e sterile, e nell’uggioso compiacimento di una securitas egoistica che conduce al tedio e, quindi, alla morte delle illusioni. 

In un pensiero del 21 gennaio 1821, contenuto nello Zibaldone, il Recanatese scrive: «Eccoci tutti filosofi, eccoci tutti egoisti. Ebbene siamo noi felici? Che cosa godiamo noi? Chi è o fu più felice? Gli antichi coi loro sacrifizi, le loro cure, negozi, imprese, pericoli; o noi, colla nostra sicurezza, tranquillità, ordine, amore del nostro bene e noncuranza di quello degli altri? Gli antichi col loro eroismo, o noi col nostro egoismo?». Da questo pensiero si evince una prospettiva di giudizio in cui vibra una tensione morale cui è sottesa una mirata meditazione sulla politica, con particolare riferimento alla problematica legata agli urti, in quel tempo, fra la Restaurazione e i moti liberali in Italia e in Spagna. 

Una politica che Leopardi concepiva come la parte più importante della filosofia morale e che riteneva fosse funzionale alla «ricerca della felicità» perseguita dal singolo e dalla collettività. Alla luce di questa valutazione si chiariscono le ragioni della sua preferenza per i regimi democratici-popolari, repubblicani della Grecia e di Roma, e, al contempo, i motivi del suo rifiuto per il «compromesso» delle monarchie costituzionali, le quali in quegli anni rappresentavano il modello dei liberali moderati, privi — secondo Leopardi — di «consequenziarietà» ideologica e morale.