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domenica, Aprile 20, 2025
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Palestina, l’assenza di una leadership autorevole e riconosciuta

Il popolo palestinese è allo stremo. Nel dramma cosa avviene? Uomini, donne, giovani, anziani, bambini stanno solo covando odio. Odio e disperazione. Il punto è che Israele non vuole la pace.

Non si vede alcuno spiraglio di pace, in Palestina. Né a Gaza, né in Cisgiordania. La ripresa dei bombardamenti sulla Striscia, dopo la pausa durata due mesi in virtù di una tregua articolata in tre fasi che tutti avevano fin da subito compreso sarebbe caduta al termine della prima, e così è stato, ha segnalato la decisione del governo Netanyahu di “utilizzare” sino in fondo il momentum per sradicare non solo Hamas bensì quanti più palestinesi possibile dalla loro terra in riva al mare. 

L’oscena idea dell’osceno presidente americano, fare di Gaza un enorme resort turistico deportando i suoi abitanti in Egitto e altrove, in realtà offre l’occasione al suo degno compare israeliano per osare di più, in linea con l’estremismo attivo presso la sua maggioranza parlamentare. Limitare gli spazi, rendere la vita impossibile, anche attraverso il blocco delle derrate alimentari e la sua inevitabile conseguenza, la fame: la gente alla fine se ne andrà. Questo il cinico calcolo che secondo taluni ormai è alla base dei ragionamenti che guidano le scelte dell’esecutivo di Tel Aviv, non condivise persino da diversi ufficiali e semplici soldati delle forze armate.

La medesima volontà di annessione è ormai ben evidente pure in Cisgiordania. Dove ormai non c’è più solo l’azione violenta di coloni sempre più radicali, spalleggiati dall’IDF, tesa a requisire sempre maggior territorio ai danni dei palestinesi ivi residenti. Con l’operazione Muro di Ferro il governo israeliano di fatto dichiara esplicitamente – anche qui, cogliendo il momentum – non solo quello che era già chiaro da anni (ovvero il totale rinnegamento degli ormai antichi Accordi di Oslo e con essi dell’idea che la restituzione di quelle terre ai palestinesi comportasse finalmente la pace in tutta la martoriata regione) ma pure che, al contrario, gli insediamenti dei coloni – quelli già presenti e quelli in via di costituzione – dovranno nel tempo divenire territorio israeliano a tutti gli effetti. Spingendo i locali a cercarsi qualche altro posto, fuori dalla loro terra-madre.

In tutto questo, gli ostaggi ancora prigionieri di Hamas restano sullo sfondo: soggetti di una permanente minaccia ma in realtà – come ben hanno ormai inteso i loro disperati familiari – non più (se mai lo sono stati) una priorità per il loro governo.

Ora, in una simile drammatica situazione immaginare che il popolo palestinese, a Gaza come in Cisgiordania, patisca, fra bombardamenti e fame, l’attentato definitivo alla sua esistenza senza reagire è palesemente irrealistico. In una condizione del genere uomini, donne, giovani, anziani, bambini stanno solo covando odio. Odio e disperazione. Un mix esplosivo che potrebbe preludere a qualcosa di ancora più tragico di quanto si sia visto sino ad ora.

Il punto è che Israele non vuole la pace. E soprattutto non vuole i due stati. E l’altro punto è però che i palestinesi non hanno una rappresentanza unitaria autorevole in grado di trattare con gli avversari attraverso la mediazione di altri paesi, arabi e occidentali. E questo è oggettivamente un problema enorme.

Oggi i palestinesi sono malamente rappresentati da due distinti gruppi. Da un lato c’è Hamas, una formazione terroristica, autrice dell’orrenda mattanza del 7 ottobre, che non prevede alcun accordo con Israele, bensì solo la sua distruzione. Hamas governa Gaza dal 2006 e lo fa – come si è visto – nell’esclusivo suo proprio interesse e non certo di quello del popolo che pretende di rappresentare. Dall’altro lato c’è l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) guidata da Al Fatah a Ramallah in Cisgiordania. Un’organizzazione in larga parte screditata, corrotta e ormai bolsa guidata dall’ottuagenario Mahmoud Abbas, detto Abu Mazen. Sempre più debole e incapace di proteggere i propri cittadini dalla violenza dei coloni e dalle numerose incursioni sul territorio effettuate dall’esercito israeliano.

Non avendo così un proprio autorevole e riconosciuto rappresentante i palestinesi sono ancor più deboli di quanto già sarebbero se lo avessero. Un gruppo di terroristi a Gaza, un gruppo di politicanti a Ramallah. Per affrontare uno Stato come quello israeliano, a maggior ragione se guidato da un governo come l’attuale, e per trovare un sostegno o quanto meno un qualche punto d’appoggio internazionale, la società civile palestinese deve riuscire a promuovere una nuova leadership politica che di essa sia espressione, in grado di acquistare legittimità e consenso pure a livello globale. Anche di questa assenza si nutre la tragedia di quel popolo.