Bisogna guardare con attenzione alla scadenza referendaria dell’8 e 9 giugno. Cinque quesiti saranno sottoposti al giudizio degli elettori: quattro riguardano il lavoro, uno la cittadinanza.
I primi propongono di abrogare il contratto a tutele crescenti, limitare l’uso del lavoro a termine e rendere più difficili i licenziamenti per motivi disciplinari; l’ultimo chiede di ridurre da dieci a cinque anni il tempo di residenza per ottenere la cittadinanza italiana.
L’indicazione è chiara: quattro no e un sì. No all’abrogazione delle riforme del lavoro, che pur perfettibili, hanno rappresentato un passo avanti nella modernizzazione delle politiche occupazionali e nella tutela di chi entra oggi nel mercato del lavoro. Sì invece all’accoglienza dei nuovi italiani, riducendo il tempo per ottenere la cittadinanza: un segnale di apertura e di fiducia nel futuro.
Intanto Matteo Renzi, parlando ieri ad Ortona, si è espresso su questa linea di voto, confermando il no ai quesiti sull’abolizione del Jobs Act e il sì alla riduzione dei tempi per ottenere la cittadinanza italiana. Anche Carlo Calenda, leader di Azione, ha manifestato un analogo orientamento. È un fatto positivo: su un terreno tanto delicato occorre superare vecchi steccati ideologici.
La scelta del 4 no e 1 un sì qualifica l’area popolare e riformista, indisponibile all’alleanza con la destra ma gelosa della sua identità democratica e riformatrice, senza quindi subalternità nei confronti del Pd e del M5S.
In questo quadro si misura anche la responsabilità della Cisl. Si può dimenticare che nel 1984 Pierre Carniti non ebbe remore a sostenere l’abolizione del punto unico di contingenza? È storia di riformismo autentico, ovvero di un impegno volto alla modernizzazione del lavoro e alla crescita del Paese.
Ora la Cisl è chiamata a non smarrire questa tradizione. Non può permettersi di inseguire l’intransigenza massimalista della Cgil. Deve ritrovare la forza di schierarsi con chi, in coerenza con i propri valori, difende le riforme che guardano al futuro e sostiene l’integrazione dei nuovi cittadini. Difendere il lavoro moderno e promuovere l’inclusione sociale non sono battaglie contrapposte: sono due aspetti della stessa sfida.
Il referendum può essere l’occasione per rilanciare un progetto politico e sociale riformista, ancorato ai valori del lavoro, della dignità e della solidarietà. Serve farsi sentire, con la chiarezza e il coraggio che i tempi richiedono.