Tornato alla guida degli Stati Uniti, Donald Trump ha rilanciato una delle sue promesse più controverse: una massiccia campagna di deportazioni. Ma l’iniziativa, che ha già portato all’espulsione di molte persone, si scontra con una fitta rete di ostacoli legali. Molti tribunali federali hanno bloccato diverse misure dell’amministrazione, definendole “palesemente illegali” e prive di un adeguato fondamento costituzionale.
Ma più delle cifre, a suscitare allarme è il tono del presidente. L’altro giorno, in un’intervista televisiva ha sollevato dubbi clamorosi sul proprio ruolo di garante della Costituzione: “Non so se devo rispettarla. Ho avvocati molto brillanti che seguiranno quanto dirà la Corte Suprema”, ha dichiarato. La stessa Corte, però, ha già ribadito l’obbligo dell’amministrazione di garantire i diritti fondamentali, incluso il giusto processo.
Le modalità con cui vengono condotte alcune deportazioni hanno generato tre richiami ufficiali da parte della Corte Suprema. In particolare, i giudici hanno criticato le espulsioni sommarie, la mancanza di prove concrete e l’uso improprio dei poteri presidenziali in ambito bellico, per colpire presunti membri di gang o giovani manifestanti contro Israele nei campus universitari.
Un giudice federale ha definito l’approccio “un percorso verso l’illegalità assoluta”. Un altro ha paragonato alla Paura Rossa e al maccartismo degli anni ’50 il clima in cui avvengono questi interventi repressivi. Un terzo ha avvertito che la mancanza di un processo equo può condurre “a persecuzioni, torture e morte”.
Il caso simbolo è quello di Kilmar Abrego Garcia, residente nel Maryland, deportato per errore in El Salvador nonostante un’ingiunzione che ne vietava il rimpatrio. La Corte Suprema ha bollato l’espulsione come “illegale”, mentre un giudice conservatore della Corte d’Appello ha parlato di una condotta “sconvolgente per i principi fondamentali della libertà americana”.
Le critiche, però, non arrivano solo dalle aule di tribunale. Numerosi economisti sottolineano come la narrativa anti-immigrazione ignori i benefici economici di flussi migratori più ampi.
“Gli economisti stimano che l’apertura dell’immigrazione potrebbe generare un incremento del PIL globale tra il 50% e il 150%”, spiega Benjamin Powell, direttore del Free Market Institute presso la Texas Tech University. “I vantaggi andrebbero soprattutto agli immigrati, ma anche la popolazione nativa ne beneficerebbe. La maggior parte degli studi non rileva impatti negativi su salari o occupazione”.
Intanto, l’amministrazione ha cercato di ridurre anche le protezioni internazionali riservate a rifugiati e richiedenti asilo, colpendo proprio le categorie più vulnerabili. Una scelta che molti osservatori giudicano in aperto contrasto con lo spirito di accoglienza incarnato dalla Statua della Libertà, simbolo dell’identità americana. Il suo celebre epitaffio, inciso ai piedi del monumento, recita:
“Give me your tired, your poor, Your huddled masses yearning to breathe free, The wretched refuse of your teeming shore”. [“Mandatemi loro, i senzatetto, gli scossi dalle tempeste, e io solleverò la mia fiaccola accanto alla porta dorata!”]
Una promessa che oggi più che mai appare dimenticata.