Sono nato e cresciuto politicamente attraverso la “scuola” culturale e sociale di Carlo Donat-Cattin e della sinistra sociale di ispirazione cristiana. Cioè di un leader e di uno statista che non si stancava di ripetere e di ricordare che “noi cattolici popolari e sociali siamo nati con la proporzionale e cesseremo di esistere senza la proporzionale”. Una affermazione secca che non deve essere furbescamente interpretata talmente è chiara e netta. Certo, era una riflessione pronunciata – e svariate volte – quando esisteva ancora un partito come la Democrazia Cristiana e l’unità politica dei cattolici non era affatto rivendicata ma era un dato di fatto nelle dinamiche politiche concrete dell’epoca.
L’eredità di Donat-Cattin
Ma, al di là del contesto storico, è indubbio che si tratta anche di un’affermazione, quella di Donat-Cattin, che risponde ad una precisa valutazione politica, culturale ed organizzativa che non va in prescrizione perché era, ed è, semplicemente oggettiva in quanto vera. E, del resto, lo ha confermato persino platealmente la storia della politica italiana in questi ultimi anni dopo il tramonto definitivo e irreversibile della Dc e l’avvio della cosiddetta seconda Repubblica.
Partiti e proporzionale: un legame indissolubile
Ma, al di là di questa riflessione profetica dello statista piemontese e ripresa molte volte da altrettanti leader democristiani come ad esempio Guido Bodrato, Sandro Fontana, Ciriaco De Mita e via discorrendo, non si può non ricordare che il sistema elettorale proporzionale – il miglior sistema praticabile sotto il versante della qualità della democrazia – regge nella misura in cui esistono i partiti politici. E, con i partiti, anche le rispettive culture politiche. Perché quando i partiti sono, nei fatti, semplici e banali comitati elettorali e le culture politiche ridotte al verbo distillato dal capo partito, reintrodurre il sistema elettorale proporzionale appare quasi un’anomalia se non addirittura una inutile forzatura. Per la semplice ragione che, vivendo ancora in una stagione caratterizzata da una “partitocrazia senza i partiti”, non si rafforzerebbero né la democrazia e né, tantomeno, i partiti con le rispettive identità culturali. Al contrario, si consoliderebbe ancora di più il potere oligarchico e cesarista dei partiti attuali alle strette e dirette dipendenze del loro capo o leader o despota.
Il futuro della democrazia dei partiti
Ecco perché, infine, la vera scommessa democratica oggi la si gioca sul terreno del recupero, o del ritorno, dei partiti come li vuole e li disegna la Costituzione. Senza il pieno recupero della loro soggettualità politica, senza la riscoperta delle culture fondanti del pensiero politico e, soprattutto, senza una nuova cittadinanza della “democrazia dei partiti” che sostituisca la “democrazia delle persone” – cioè i fatidici ed inquietanti partiti personali – qualunque sistema elettorale che venga partorito non riuscirà ad invertire la crisi della politica e, in ultima istanza, della stessa democrazia. Insomma, la credibilità della politica – e ancora una volta – la si rilancia solo attraverso le leggi della politica. Non saranno certamente gli algoritmi tecnici a sciogliere i nodi politici. Come sempre, del resto.