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lunedì, 28 Luglio, 2025
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La società concreta di Sturzo

Un monito per quanti sperano in un “partito cattolico”, senza fare i conti con la realtà storica e sociale. Chi pensa ancora oggi alle categorie politiche di destra, sinistra e centro, tradisce il pensiero sturziano.

Luigi Sturzo ci lascia un insegnamento tanto metodologico quanto politico: partire sempre dalla società concreta. Non da ciò che si idealizza, ma da ciò che si vive. Un ammonimento da rileggere con attenzione, soprattutto oggi.

La raccomandazione di Sturzo

Una costante raccomandazione metodologica del sacerdote e sociologo Luigi Sturzo è stata quella di darsi sempre da fare per osservare e studiare per bene la società… concreta.

La società concreta, per Sturzo, non era quella astratta o statica; quella che supponiamo e che ci piace. Oppure quella vissuta nel passato che rimpiangiamo.

Era invece quella dinamica, in cui si vive ogni giorno, e che è sempre frutto delle persone che ci vivono in un preciso momento storico, all’interno delle tre forme sociali: famiglia, Stato, religione.

Destra, sinistra e centro. Sperando sempre che si mantengano fermi i diritti dell’uomo assieme ad alcuni valori morali fondamentali, la società cammina. Ai nostri giorni anche velocemente. Trasformando e cambiando le cose e le idee.

Chi pensa ancora oggi, per esempio, alle categorie politiche di destra, sinistra e centro, non tiene conto di questa raccomandazione. Ricorre e usa questi termini per semplificare, banalizzando la realtà. Spesso a solo scopo propagandistico, per richiamare emotivamente collocazioni e schieramenti del passato. Ma senza mai chiarire e specificare concretamente cosa si vuole dire — oggi — con quei termini.

Così si commette il grave errore di polarizzare la politica con concetti superati e da ridefinire. Le differenze ci sono, sia chiaro. Ma non sono più quelle del passato.

La coscienza personale

In questa sua attenzione alle dinamiche sociali — diciamo meglio, in questo suo storicismo — Sturzo metteva però sempre al centro la coscienza della persona, concretamente immersa nella società del suo tempo.

Evitava la coscienza razionale del positivismo sociologico e dei suoi schemi teorici, che pure seguiva con attenzione, ma da cui prendeva le distanze.

Coscienza della storia, dunque. E della società, da studiare anche con l’aiuto dell’antropologia.

Quella riflessione personale, cioè, che deve consentirci valutazioni realistiche su tempi e luoghi. Sulle strutture associative, istituzionali ed economiche che aiutano od ostacolano le nostre esperienze e i nostri progetti.

Partendo dallo spazio comunitario e locale: come sta facendo la “Rete di Trieste”, che per promuovere partecipazione supera le categorie politiche e partitiche di destra, centro e sinistra, e realizza un dialogo “scandaloso” tra “amici e nemici”.

Saltando quei pregiudizi che, nell’ottica delle sfide dietro l’angolo, bisogna avere il coraggio di mettere tra parentesi prima delle nostre analisi, del nostro verdetto, e delle nostre opinioni — come ha suggerito qualche filosofo.

È un lavoro difficile. E comporta cancellazioni spiacevoli e imbarazzanti. Ma necessarie, per farci vivere concretamente nella storia presente, e prepararci a quella futura. Come chiede Sturzo.

Ricordando che ogni fase storica ha sue specifiche caratteristiche e pone specifici problemi.

Il centro cattolico e la lezione ignorata

Per questi e altri motivi, sono stato molto critico, anche se curioso, nei confronti dell’anelata ricomposizione politica di un tanto atteso centro cattolico, collocato nelle sole mani di decine di leader-promotori, ma con un totale vuoto analitico, sociale, culturale e strutturale.

Desiderato periodicamente col solo approccio teorico, in assenza di un concreto retroterra associativo, di una lettura delle nuove classi sociali, e di una presa d’atto della secolarizzazione senza precedenti.

Un partito di chiara natura sociale

A tale ultimo proposito, mi piace chiudere questo appunto con un noto discorso di Sturzo, che esprime bene cosa intendesse per “concretezza”:

«Per capire il rapido incontestato successo del Partito Popolare Italiano, dobbiamo ricordare che il movimento cattolico sociale — chiamato o no Democrazia Cristiana — si era sviluppato ininterrottamente nel corso degli anni di crisi e di guerra.

Perciò all’inizio del 1919, appena due mesi dopo l’armistizio, esistevano in Italia, nelle mani dei cattolici sociali, più di 4000 cooperative, qualche migliaio di enti assistenziali dei lavoratori, circa 300 banche popolari, molte società professionali (le quali si erano confederate nel settembre del 1918), raggiungendo in breve una partecipazione di almeno 800.000 membri (e nel 1920 un milione e duecentomila). Inoltre, molti studenti delle scuole secondarie e delle università erano stati educati per lungo tempo in associazioni cattoliche per la gioventù. Essi avevano dato, durante la guerra, un magnifico esempio di coraggio militare e di virtù cristiane. Entrarono spontaneamente a far parte del Partito Popolare, diventandone la leva intellettuale e morale, proprio come le masse operaie delle unioni cattoliche, delle leghe e cooperative rurali, erano le reclute più convinte e più disciplinate. E infine, la cooperazione delle classi medie e intellettuali — dottori, avvocati, professori, ingegneri, tecnici — si rivelò di importanza e respiro mai visti in un giovane partito di chiara natura sociale».