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sabato, 2 Agosto, 2025
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I partiti non sono tribunali morali

Una riflessione sulla deriva populista e giustizialista che indebolisce la democrazia, le istituzioni e il pluralismo politico.

La recente “sentenza” di assoluzione preventiva del capo dei 5 Stelle, Conte, sulla candidatura di Ricci a Presidente della Regione Marche ripropone un capitolo pericoloso e inquietante sulla natura dei partiti. Certo, i partiti populisti con una chiara e netta identità giustizialista – e i 5 Stelle, sin dalle origini, sono l’interpretazione più autentica di questa deriva – fanno del moralismo, di norma a corrente alternata, la stella polare cui affidarsi nella concreta battaglia politica.

Le alleanze non si fondano su (pre)giudizi morali

Ma il dato di fondo a cui dobbiamo dare una risposta seria e convincente, a prescindere dal comportamento concreto dei populisti, è che i partiti – o ciò che resta di loro – non possono trasformarsi in una sorta di “tribunali morali” permanenti.

Le alleanze politiche, cardine fondamentale di ogni sistema democratico, non possono essere il frutto e la conseguenza di valutazioni moralistiche o pseudo giudiziarie. La valutazione sui singoli candidati, ovviamente legittima e discrezionale da parte di ogni partito, non può trasformarsi in una sentenza di assoluzione o di colpevolezza sulla base di giudizi astratti e moralistici. Fuorché qualcuno pensi di avere il monopolio esclusivo e totalizzante della moralità, della giustizia, della trasparenza e della correttezza etica e politica.

Un pericolo per la Costituzione repubblicana

Ma questo – è bene ricordarlo – accade nei regimi dispotici e dittatoriali disciplinati dal fondamentalismo religioso e dogmatico. Si tratta, cioè, di sistemi alternativi alla democrazia e ai principi liberali e, per quanto riguarda il nostro Paese, di un impianto pseudo-culturale del tutto estraneo ed esterno ai valori e ai principi della stessa Costituzione repubblicana.

Per queste ragioni, semplici ma oggettive, i partiti – qualsiasi partito – non possono trasformarsi in tribunali morali ed etici permanenti che distribuiscono patenti di legittimità, di agibilità, di trasparenza giudiziaria e di moralità personale necessari per partecipare all’attività politica e istituzionale.

Un sistema del genere sarebbe semplicemente devastante per la qualità della nostra democrazia e per la stessa credibilità delle istituzioni democratiche.

Il populismo mina la democrazia alla radice

Il vero tarlo corrosivo di questa deriva democratica ha un nome preciso: populismo. Se il populismo – che poi si trascina dietro i peggiori vizi della politica, dal trasformismo all’opportunismo, dal giustizialismo al moralismo – continua a condizionare i comportamenti della politica italiana, non possiamo stupirci se la nostra democrazia appare fragile ed esposta al vento di estremismi che rischiano di minarla alla radice.

Il populismo, al riguardo, e di qualsiasi marca sia, era e resta il peggiore nemico della democrazia e, con essa, dei valori e dei principi costituzionali.

Il rischio di normalizzare la deriva

Ecco perché chi si allea oggi con i populisti, soprattutto quando hanno una vena giustizialista e vagamente moralistica, corre il rischio non solo di sdoganare definitivamente quella deriva nella cittadella politica italiana ma, ancor più gravemente, di condividere quel sistema di disvalori che sono e restano agli antipodi di una sana e trasparente democrazia liberale, sociale, solidale e, soprattutto, costituzionale.