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domenica, 3 Agosto, 2025
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Il partito nuovo in mezzo a noi

Segnali da cogliere: un centro che governa, oltre le sigle, in sintonia con i mutamenti dell’ordine globale. Per il popolarismo si apre una finestra strategica. Occorre guardare con attenzione al "partito nuovo" che avanza.

Dal punto di vista della fantasia creativa applicata alla politica, alla voce “partito nuovo di centro” corrispondono così tanti tentativi, maturati nel complicato trentennio post-prima repubblica, dei quali forse neanche gli addetti ai lavori riescono più a tenere il conto.

Non appena si provi a cambiare il punto  d’osservazione, dall’elenco delle sigle alle concrete strategie politiche, si scorge, non senza una certa sorpresa, un diverso panorama politico.

L’epifania del partito di centro

Dall’inizio di questi anni ’20 un “partito nuovo” – di centro, perché in sostanziale continuità con l’epoca democristiana, pur senza nostalgie e ben orientato alle sfide del secolo presente – si è manifestato all’opera. In modo trasversale.

Da che cosa lo si capisce? Da una serie di scelte, negli ambiti strategici, legate dal seguente criterio: ciò che per circa 30 anni non si è più potuto fare, è tornato in qualche modo di nuovo praticabile sia sotto il profilo culturale che nelle scelte di governo.

Pensiamo al Piano Mattei per l’Africa, al rafforzamento dei legami con gli Stati della sponda Sud del Mediterraneo, ma anche all’accentuazione del ruolo dello stato in settori strategici, in un clima da nuova Iri: dall’energia, alle telecomunicazioni, dalle autostrade, alla siderurgia, dal settore creditizio a quello della difesa, a quello della finanza pubblica, con il ritorno alla preferenza degli investitori interni, famiglie e aziende, per l’acquisto dei titoli pubblici anziché di quelli internazionali. In un tale contesto si collocano anche grandi operazioni private, impensabili nei decenni scorsi, dal valore altamente simbolico, come la recente acquisizione da parte di un gruppo italiano della rete italiana di supermercati di un noto colosso francese della grande distribuzione.

I meriti di Matteo Renzi

Una svolta che sul piano interno ha dei fautori identificabili. Fra cui Matteo Renzi. Un paio di iniziative per cui si è battuto l’ex premier, la candidatura di Sergio Mattarella al Quirinale al primo mandato e la determinazione nel perseguire la caduta del governo Conte II per sostituirlo con quello di Mario Draghi, bastano a far passare in secondo piano i molti errori politici che pure, a giudizio di molti, ha commesso nella sua ormai lunga carriera politica.

Ma se, come sembrerebbe, l’emergere nella politica italiana di un simile “partito nuovo” sta ormai conducendo alla conclusione della fase successiva a quella della “prima repubblica”, occorre chiedersi come mai la fase iniziata dopo la fine della Democrazia cristiana si sia esaurita proprio in questi anni.

Profonda interazione fra politica italiana e ordine globale

Qui entra in gioco una costante che da sempre condiziona la politica italiana. Già manifestatasi in passato come fattore K, si tratta dell’influenza che l’ordine internazionale vigente esercita sull’Italia, Paese che, per la sua oggettiva centralità nel mondo, funge più di altri da termometro dei cambiamenti. Così la “prima repubblica” poté affermarsi solo nel contesto dell’applicazione meticolosa degli accordi di Yalta, dai quali una classe dirigente all’altezza delle sfide seppe massimizzare i vantaggi. Non fu un caso che quella classe dirigente non sopravvisse al venir meno di quell’ordine globale. E il passaggio dall’ordine bipolare a quello unipolare ebbe le conseguenze che conosciamo sulla politica, sulla società e sull’economia italiane.

Ma ora ci troviamo di nuovo in una fase di profondo mutamento dell’ordine globale con un tumultuoso passaggio dall’unilateralismo al multilateralismo. E questo cambiamento geopolitico non ha tardato a provocare cambiamenti in Italia. Esso è, in ultima analisi, il fattore  determinante nell’aver creato le condizioni adatte al riemergere del ‘partito nuovo”. Si tratta di un elemento imprescindibile per comprendere le dinamiche in atto nella politica italiana.

Il popolarismo nel “partito nuovo”

Se ci si pone in questa prospettiva, stante la piena legittimità nel costituire sigle nuove, per lo più funzionali alla asfittica (per la democrazia) logica bipolare, ritengo che la cosa più importante da fare per chi crede nella straordinaria attualità dell’eredità politica e culturale del popolarismo, diviene quella di mettersi in sintonia con questo “partito nuovo” indiscutibilmente di centro, che dagli inizi degli anni ’20 sta sempre più dettando l’agenda della politica italiana, peraltro in un milieu mediatico e culturale che gli è  intrinsecamente ostile. Questa è la via, dissipando innaturali mescolanze al centro, come quella con i radicali, capace di suscitare interesse dei ceti medi e popolari del Paese verso una proposta politica forte nel governo della nuova Italia post seconda repubblica, capace di produrre concreti miglioramenti sulle loro vite e sulle loro aspettative di futuro.