5 anni fa, il 4 agosto del 2020, se ne andava Sergio Zavoli, non “un” gigante ma “il” gigante dell’informazione radiotelevisiva e del giornalismo italiano. Ho avuto la fortuna, nonchè l’onore, di frequentarlo a lungo e di conoscerlo come suo Vice Presidente della Commissione di Vigilanza della Rai e non solo come uno dei “monumenti” del giornalismo del nostro paese dal secondo dopoguerra in poi. Ma quello su cui vorrei richiamare l’attenzione, al di là e anche al di fuori della sua lunga, vasta, ricca e straordinaria biografia, è come e dove si intravede l’assenza di uomini e di professionisti come Sergio Zavoli nell’attuale panorama dell’informazione giornalistica e televisiva italiana.
Almeno su due versanti specifici non possiamo non richiamare l’attenzione. Innanzitutto il profilo e la natura del giornalismo di inchiesta. Perchè le storiche, e sempre contemporanee e moderne, inchieste di Zavoli continuano a suscitare un interesse straordinario in tutte le generazioni? Per la ragione che quel giornalismo di inchiesta era semplicemente di inchiesta. Nessuna indulgenza alla propaganda politica, nessun settarismo ideologico, nessuna faziosità culturale o dottrinale. E, soprattutto, nessuna pregiudiziale personale. Basti citare le puntale de “La notte della Repubblica” per rendersene conto. Insomma, si può dire senza tema di essere smentiti che si tratta dell’esatto opposto dell’attuale, e riverito, giornalismo di inchiesta, dove il pregiudizio politico ed ideologico e l’attacco personale sono gli ingredienti fondamentali e decisivi per ricostruire e rileggere alcuni accadimenti – e ben selezionati – che attraversano la nostra società.
In secondo luogo Sergio Zavoli, anche per la sua natura poliedrica, era sì un giornalista ma soprattutto era un intellettuale. Con una forte valenza politica, culturale, sociale e anche religiosa nel senso più ampio del termine. E il suo contributo al giornalismo, dalla carta stampata al versante radiofonico e soprattutto televisivo, era il frutto e la conseguenza di una preparazione che possiamo definire enciclopedica. E il suo mestiere di divulgatore, come lo definiva lui stesso, era la sintesi di quella conoscenza che gli permetteva di governare i processi che di volta in volta si affacciavano all’orizzonte. Altroché l’improvvisazione, la casualità, la faciloneria e il pressappochismo. Zavoli era un perfezionista perché, semplicemente, era un vero ed autentico professionista.
E poi c’è una postilla, se così la vogliamo definire, che riguarda realmente il profilo di Sergio Zavoli. Il giornalista romagnolo ha sempre interpretato e fatto proprio, in ogni momento ed in ogni occasione, l’antico monito di Aldo Moro “coscienza di sè e apertura verso gli altri”. Un socialista democratico e riformista, uno spirito laico ed inclusivo, un uomo rispettoso e cultore del pluralismo che non ha mai rinunciato alle proprie idee ma sempre in costante e aperto dialogo con tutto ciò che lo attorniava e che lo incuriosiva. Questo è stato, molto semplicemente, Sergio Zavoli. Un patrimonio incancellabile del nostro giornalismo, della nostra televisione, della nostra radio e della nostra cultura. E anche della nostra politica. Quella democratica e autenticamente e schiettamente costituzionale.