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giovedì, 21 Agosto, 2025
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La politica estera della Dc, un metodo che non tramonta

Per quasi cinquant’anni la Democrazia Cristiana ha garantito all’Italia autorevolezza e coerenza internazionale. Un approccio fondato su classe dirigente, europeismo-atlantismo e dialogo senza pregiudiziali.

Lautorevolezza della classe dirigente

Uno dei grandi meriti della “lezione” democristiana è stata indubbiamente la sua politica estera. Un dato di fatto più che un’opinione. Una politica estera che nel corso degli anni ha garantito all’Italia di essere considerato come un paese affidabile e serio perché interprete di una strategia e di un pensiero che hanno conservato una coerenza per tutta la sua presenza nella politica italiana, cioè per quasi cinquant’anni. E questa coerenza poggiava, sostanzialmente, su tre grandi tasselli che non sono mai stati messi realmente in discussione. Da tutto il partito, e quindi dalle varie sensibilità culturali presenti al suo interno.

Innanzitutto l’autorevolezza della classe dirigente che interpretava, di volta in volta, il progetto politico della Dc in materia di politica estera. Una classe dirigente riconosciuta a livello europeo come sul versante internazionale. Una classe dirigente che non si limitava a giocare un ruolo nazionale ma che sapeva essere un interlocutore nella soluzione dei grandi nodi che attraversavano la politica internazionale. Da qui l’autorevolezza del nostro paese e, soprattutto, la riconosciuta capacità di quella classe dirigente di essere punto di riferimento nei confronti degli altri grandi leader europei e mondiali.

La coerenza del progetto politico

In secondo luogo la coerenza del progetto politico di fondo. Non solo della Dc, come ovvio, ma anche e soprattutto dei partiti che costituivano i vari governi che si sono succeduti nel corso della sua lunga esperienza cinquantennale. L’europeismo e l’atlantismo non erano variabili indipendenti ai fini della costruzione delle alleanze e della collocazione concreta del nostro paese nello scacchiere internazionale. Erano i due fari che illuminavano l’intera strategia della Democrazia Cristiana.

Due fari che contrastavano radicalmente, va pur detto, con il progetto del più grande partito di opposizione che era rappresentato dal Partito Comunista Italiano. Ma si trattava di un progetto, quello della Dc, che non era statico o immobile ma era sempre il frutto di una elaborazione politica e culturale che doveva fare i conti con l’evoluzione concreta dello scenario europeo ed internazionale.

 

Dialogo senza pregiudiziali

In terzo luogo, e forse questo era l’aspetto più innovativo ed originale, la politica estera della Dc non aveva pregiudiziali politiche e, men che meno, di natura personale. E questo perché si trattava di un partito che da un lato coltivava un serio e proficuo dialogo e confronto con tutti i paesi – e quindi, di conseguenza, anche con i paesi dell’area mediterranea e i paesi arabi – e, dall’altro, cercava sempre di giocare un ruolo politico protagonistico pur senza mettere in discussione i caposaldi essenziali che

orientavano concretamente il suo progetto politico di fondo.

 

Un metodo che resta attuale

Ecco perché quando si parla di politica estera nel nostro paese – e oggi è quantomai centrale nel dibattito politico a livello nazionale come, e soprattutto, sul versante internazionale – non si può non parlare della Democrazia Cristiana. Non per una regressione nostalgica, ma perché il comportamento, l’azione e la strategia della Dc su questo versante erano caratterizzati da un solo elemento: la coerenza di un progetto politico.

Ed è l’elemento che dovrebbe caratterizzare sempre una maggioranza di governo e un’opposizione seria e responsabile. Si potrebbe dire, senza coltivare rimpianti fuori luogo e fuori tempo, che si tratta di un passato che non tramonta. Almeno sotto il profilo del metodo di governo.