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sabato, 4 Ottobre, 2025
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Flotilla, Israele e il nodo della pace possibile: Hamas firma l’accordo?

Il fermo in acque non israeliane riaccende il dibattito sul Diritto internazionale, sulla responsabilità della politica e sul futuro della convivenza tra israeliani e palestinesi. Intanto fa ben sperare l’annuncio di Hamas sul rilascio degli ostaggi.

La Flotilla é stata fermata dalla Marina Militare di Israele in acque comunemente ritenute “non israeliane”. Anche questa circostanza – grave, ma non certo la più grave – dimostra che il Diritto Internazionale è ormai ovunque, nel Mondo, carta straccia.

Nessuno dei partecipanti ha subito violenza fisica di alcun tipo, per fortuna.

Va dato atto ai partecipanti di aver mantenuto un atteggiamento più “gandhiano” di alcune frange dei cortei di protesta di questi giorni.

E al nostro Ministro degli Esteri e ai nostri Servizi di aver negoziato – immagino – una soluzione che non mettesse comunque a repentaglio la sicurezza fisica dei partecipanti.

La differenza tra Statisti e Capi fazione

Restano alcune pesanti considerazioni da fare.

Primo. Sbaglia la Premier Meloni quando commenta con tono sprezzante e ostile l’iniziativa della Flotilla.

Il Presidente Mattarella ha usato ben altre parole quando ha rivolto il suo appello a “fermarsi” prima che si determinassero conseguenze irreparabili. Si nota anche in questo caso la differenza tra uno Statista e un Capo Fazione. Avremmo bisogno più dei primi, che scarseggiano, che dei secondi, che abbondano dentro e fuori dalla Politica.

Secondo. L’azione della Flottilla riscuote un sostegno così esteso anche perché i Governi e le Istituzioni Internazionali non sono stati in grado – dopo l’azione dei tagliagole di Hamas del 7 Ottobre – di indurre il Governo di Israele a non superare la linea rossa che separa una legittima reazione difensiva da una strategia indiscriminata di aggressione contro una popolazione civile.

Israele, lanima e la memoria

Terzo. Il Governo Netanyahu rischia di minare l’anima di Israele. E con l’anima, la percezione della sua stessa storia.

Personalmente non condivido l’accusa di “genocidio”: la violazione dei Diritti Umani da parte di uno Stato è già un reato internazionale gravissimo, senza che lo si debba qualificare impropriamente come genocidio, al pari della Shoah o della vicenda degli Armeni. Non è questione solo terminologica.

Ma questa accusa che si va consolidando, avvalorata dalla dimensione del dramma in corso a Gaza, avrà comunque effetti di lunghissimo periodo sulla narrazione della storia ebraica e farà risorgere – come già oggi si vede ampiamente – inaccettabili e diffusi rigurgiti di anti semitismo. Vanno condannati “senza se e senza ma”. E da tutti.

Quarto. La massiccia mobilitazione di questi giorni a difesa della popolazione di Gaza è un segno di consapevolezza e di responsabilità da parte di tante persone, in controtendenza di fronte al rischio della assuefazione e della indifferenza.

Occorre però – al di là delle riprovevoli azioni di blocco delle stazioni ferroviarie e di altre importanti attività necessarie al funzionamento del Paese e di qualche evidente strumentale attitudine a “metterci” cappello politico o sindacale – che non declini verso forme di semplificazione fondamentalista o di faziosità cieca.

I valori della Pace e dei Diritti Umani devono essere universali. Altrimenti durano lo spazio di una fugace emotività del momento. E devono misurarsi con la terribile complessità del periodo che viviamo e delle storie che lo hanno prodotto.

Il Sindaco di Reggio Emilia, per fare un piccolo esempio, è stato fischiato in una pubblica assemblea perché ha avuto l’ardire di ricordare anche gli ostaggi civili israeliani rapiti il 7 Ottobre e tutt’ora usati da Hamas come scudi umani.

Essere “pro Pal” non può voler dire, neppure indirettamente, essere indulgenti con Hamas. La quale – ha detto pubblicamente ad una Cerimonia presso la Campana dei Caduti di Rovereto Padre Pietro Patton, già Custode di Terrasanta – é il peggior nemico della causa palestinese. Le due cause – quella del diritto ad uno Stato dei palestinesi e quella del diritto alla sicurezza di Israele – sono intrecciate ed inscindibili. La terra “tra il Giordano ed il Mare” o sarà condivisa da due entità che reciprocamente si riconoscono, o resterà un teatro di guerra. La Destra israeliana e i fondamentalisti palestinesi – ciascuno con i loro protettori interessati a scopi ben diversi – lavorano da sempre contro questa unica prospettiva di Pace. Prima e dopo il 7 Ottobre.

Aggiungo inoltre che questi valori non possono essere evocati solamente per Gaza.

Una delegazione di diverse centinaia di pacifisti si trova in questi giorni a Kharkiv, per portare sostegno e vicinanza alla popolazione ucraina che dal 24 febbraio 2022 sta resistendo e soffrendo per i bombardamenti quotidiani da parte della Russia di Putin, Paese invasore che ha violato ogni diritto internazionale.

Le stime delle autorità internazionali parlano di almeno 15 mila morti civili ucraini. Ad essi vanno aggiunte le enormi perdite di vite umane tra i militari dei due Paesi. Anche questa iniziativa “pacifista” meriterebbe una risonanza ed una condivisione popolare adeguate.

 

Anche il Pd avrebbe dovuto votare a sostegno del Piano Trumo

Quinto. Temo che il cosiddetto “Piano di Pace” proposto da Trump, oltre che ispirato ad una logica più affaristica che di vera convivenza, presenti notevoli incognite di vario genere, ivi compresa la nebulosità rispetto alla prospettiva dei “due popoli, due Stati”. Tuttavia, ad oggi, è l’unica proposta realistica sul tappeto che possa almeno, forse, produrre la cessazione delle ostilità, la restituzione degli ostaggi – Hamas si dichiara pronta – e la salvaguardia della popolazione civile di Gaza.

Non capisco, in questo senso, perché anche l’intera opposizione – e soprattutto il PD – non abbia votato in Parlamento a favore della mozione che impegnava il Governo a sostenerla. Sarebbe stato un segnale di responsabilità e di unità delle nostre Istituzioni nazionali in questo momento drammatico di disordine internazionale. Oltre le disfide domestiche che, così come oggi si configurano, appaiono ogni giorno di più sideralmente lontane dalle questioni stringenti del nostro tempo. I Popolari devono, anche su questo terreno, saper esprimere una posizione all’altezza della loro tradizione di solidità e di lungimiranza nel campo della politica estera, dimostrando capacità di ascoltare le pulsioni profonde della società senza disconoscerle, ma anche senza cavalcarle nella loro onda di breve momento.