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domenica, 19 Ottobre, 2025
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Quando la politica dimentica l’umanità

Il dolore per la morte di tre servitori dello Stato s’accompagna al rispetto dell’eroismo civile. Sotto questo aspetto le parole di Ilaria Salis sono risultate perlomeno equivoche.

Gli eventi recenti, con la tragica morte di tre servitori dello Stato, hanno profondamente scosso la coscienza del Paese.

Un dramma che interpella la coscienza del Paese

A rendere ancora più grave il peso di questa tragedia si aggiungono alcune incredibili e imbarazzanti dichiarazioni politiche — come quelle dell’onorevole Ilaria Salis — che hanno attribuito la responsabilità ultima allo Stato, colpevole di non garantire un tetto a tutti.

Una posizione che, anche se animata da intenti sociali, finisce per trasformare un dramma nazionale in un terreno di giustificazione ideologica. Questo modo di leggere i fatti, pur partendo da una preoccupazione per le disuguaglianze, rischia di rovesciare il senso stesso della responsabilità pubblica.

E così lo Stato, da garante della legalità, viene indicato paradossalmente come colpevole della violenza di chi ha scelto di sfidarla.

Il rischio di un cortocircuito morale e civile

È un cortocircuito morale e politico che non possiamo permetterci.

Perché se diventa accettabile l’idea che la protesta armata o l’attacco contro chi serve le istituzioni siano la conseguenza “naturale” delle mancate risposte dello Stato, allora si apre la strada alla giustificazione della violenza e si smarrisce il principio su cui si fonda la convivenza civile.

Nessuna crisi sociale, nessuna ingiustizia, nessuna rabbia può trasformarsi in alibi per la morte di chi svolge il proprio dovere. Comprendere il disagio è un dovere della politica; giustificare la violenza, invece, è il tradimento della sua funzione più alta.

La politica come servizio, non come alibi

Dietro ogni uniforme ci sono vite, famiglie, persone che hanno creduto nello Stato e nel servizio. Riconoscerlo non è retorica, ma il primo passo per tornare a essere una nazione consapevole del proprio patto morale.

La politica non è un rifugio, né una carriera da proteggere: è un servizio. Essere rappresentanti delle istituzioni significa mettersi a disposizione del bene comune, non usarlo come strumento di consenso o di autoassoluzione.

Chi sceglie di servire lo Stato deve ricordare che la credibilità delle parole nasce dall’esempio e dal rispetto della vita umana, sempre e comunque.

In momenti come questi risuonano attuali le parole di Papa Léon Prevost: “Essere umani non è un sentimento, è una responsabilità”. Una frase che racchiude il senso più profondo di ciò che oggi chiediamo alla politica: tornare a essere umana, prima che ideologica.