Il cattolicesimo sociale rappresenta, storicamente, un asset costitutivo e un filone di pensiero essenziale della storia secolare del cattolicesimo politico italiano. Un filone che decolla dalla fine dell’Ottocento perché ha sempre trovato proprio nei cattolici una particolare sensibilità sui temi sociali e sulle condizioni di vita dei ceti popolari e di quelli meno abbienti. Una sensibilità che nel corso degli anni si è trasformata progressivamente in una progettualità politica, in organizzazione politica e in presenza politica.
Prima sul versante sociale e pre-politico e poi, dopo la lunga parentesi fascista e il ritorno della vita democratica, direttamente nell’agone politico. Con la storica sinistra sociale di ispirazione cristiana all’interno della Democrazia Cristiana e poi, dopo la fine della prima Repubblica, ancora presente in alcuni partiti grazie al contributo e al ruolo, decisivo e determinante, di quegli esponenti che si riconoscevano nell’esperienza della sinistra sociale della Dc.
Una tradizione smarrita nella politica contemporanea
Dopodiché, e non possiamo non evidenziarlo, questa cultura, questa sensibilità e questa tradizione sono sostanzialmente scomparsi. Non nella società e neanche nella galassia cattolica, seppur molto variegata e complessa, ma nella cittadella politica. Assente, cioè, dalle dinamiche concrete della politica contemporanea.
E questo sia perché mancano partiti che siano anche solo parzialmente sensibili a quella cultura politica, sia perché – e soprattutto – la presenza politica dei cattolici si è indebolita al punto di diventare una sorta di ornamento all’interno dei partiti in cui militano: una presenza, cioè, politicamente irrilevante, culturalmente inconsistente e anche organizzativamente latitante.
L’urgenza di un nuovo protagonismo
Proprio all’interno di questo scenario si inserisce il tema della necessità della presenza, oggi, della cultura e del pensiero del cattolicesimo sociale. A maggior ragione con il pontificato di Papa Leone XIV e con la riproposizione della questione sociale a livello nazionale.
E, soprattutto, con l’interrogativo su come rilanciare e riproporre una presenza politica che faccia proprio della cultura e della tradizione del cattolicesimo sociale il suo perno centrale e costitutivo. Ora, è di tutta evidenza che una simile cultura, storica e molto caratterizzata sul versante ideale, non può avere cittadinanza all’interno di partiti e movimenti che fanno dell’estremismo, del massimalismo, del radicalismo, del populismo e del sovranismo la loro ragion d’essere.
Il valore umano della politica popolare
Partiti e movimenti che, com’è persino ovvio rilevare, sono e restano drasticamente estranei a una cultura che fa del dialogo, del confronto, della soluzione dei problemi, della ricerca della convergenza programmatica e del non-approccio ideologico la sua ragion d’essere.
Anche perché proprio il cattolicesimo sociale è la leva decisiva per ridare alla progettualità politica un alto valore umano. Partendo, appunto, dalle condizioni di vita reale dei cittadini e, soprattutto, avendo sempre come bussola di riferimento la promozione e la salvaguardia dei ceti popolari e dei meno abbienti.
Anche per questi motivi, peraltro decisivi per una politica autenticamente popolare e democratica, il cattolicesimo sociale non può più essere assente dalla politica italiana. Pena la certificazione dell’irrilevanza pubblica dei cattolici italiani nella costruzione del “bene comune” a livello politico.