Al netto, come ovvio, della buona fede dei singoli e delle loro prospettive politiche, occorre dirlo con chiarezza: la Margherita non nacque da un’operazione decisa a tavolino da esponenti della sinistra.
Un progetto nato da una spinta autonoma
Non fu così ai tempi del PDS con il Ppi, e non lo fu con i Ds nel progetto della Margherita.
Si trattò, invece, di un’iniziativa autonoma di alcuni leader nazionali del mondo centrista e riformista — Rutelli, Marini, Mastella, Parisi, Dini — che avvertivano l’esigenza di costruire un vero e credibile centrosinistra.
L’operazione della “tenda”, pensata e gestita da esponenti del Pd come Bettini, rappresenta oggi l’esatto contrario di quella stagione politica. La logica delle “porte girevoli” non era, né poteva essere, il criterio ispiratore della Margherita.
Un centro autentico e riformista
La Margherita e, prima ancora, il Ppi furono davvero partiti di centro con una spiccata cultura di governo. Non per concessione del principale alleato — i Ds di allora — ma per un’identità propria, chiara, non confusa, lontana da ogni trasformismo.
Un progetto politico e di governo non può ridursi a una sommatoria indistinta di esperienze civiche, destinate a esaurirsi a livello locale. La forza di quel centro stava nella sua coerenza e nel suo radicamento nazionale.
Dal centrosinistra al campo largo: una distanza abissale
Oggi la situazione è radicalmente mutata. Il cosiddetto campo largo rappresenta l’intera sinistra italiana, nelle sue diverse e multiformi espressioni: dalla sinistra radicale della Schlein a quella populista di Conte, da Fratoianni e Bonelli alla Cgil di Landini.
In questo quadro, chi si sente centrista, riformista o moderato non trova più uno spazio vero: può solo assistere “dalla tribuna”.
Con buona pace dei vari Bettini, Onorato e Salis, il paragone con la Margherita di ieri è improprio e persino blasfemo: allora c’era un progetto, oggi resta solo un cartello confuso e trasformista.

