Genova chiama di nuovo i suoi “maledetti architetti”.
Lo fa senza nostalgia, ma per capire cosa il Novecento abbia sedimentato non solo nei suoi volumi, ma nella sua identità collettiva. Sabato 15 e domenica 16 novembre la città ospita la quinta edizione della manifestazione promossa dal Comune e dalla Fondazione Ordine degli Architetti: due giorni di visite guidate, itinerari urbani, appuntamenti gratuiti. Undici luoghi, progetti celebri o negletti, pensati per condurre cittadini e curiosi dentro un secolo che ha cambiato il paesaggio urbano italiano probabilmente più di ogni altro.
Genova come laboratorio nazionale
“Chi conosce Genova, fuori da Genova?”, chiedeva qualcuno anni fa. La risposta, forse, passa proprio attraverso iniziative come questa. Perché l’architettura del Novecento non è un capitolo tecnico, ma una storia collettiva fatta di retoriche pubbliche, conflitti estetici, poteri, ricostruzioni, sperimentazioni. Per anni la città ha avuto con questo patrimonio un rapporto polemico, irrisolto. Oggi prova a riguardarlo come risorsa simbolica e civile.
Cultura come sguardo sul futuro
L’assessore alla Cultura Montanari parla di “occasione preziosa per riscoprire edifici che fanno parte della nostra identità urbana, e che chiedono ancora di essere compresi”. La Camera di Commercio sottolinea il valore economico della filiera, ricordando che senza chi osa le città restano cartoline immobili. Ed è qui il punto: la provocazione di Tom Wolfe diventa strumento per riaprire una discussione pubblica sul potere creativo e conflittuale dell’architettura.
Le ricorrenze che raccontano un secolo
Il 2025 incrocia anniversari importanti: dai 60 anni della Sopraelevata Aldo Moro alla nascita di Ignazio Gardella; dal centenario del Palazzo della Navigazione Generale Italiana al ventennale della scomparsa di Claudio Andreani. Ogni ricorrenza è una soglia interpretativa. Ogni edificio, memoria politica e sociale.
Per Genova, e non solo per Genova. Perché il Novecento italiano è ancora la nostra domanda aperta. E gli architetti – maledetti o benedetti – restano gli interpreti più radicali di questa domanda.

