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mercoledì, 5 Novembre, 2025
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Filippo La Porta racconta il mondo salvato dalla misura

La forza etica della normalità contro la retorica della grandezza: nel suo ultimo libro, il noto critico letterario  sviluppa una riflessione sulla misura, la cura, la fedeltà quotidiana. La  salvezza del reale non è mai spettacolare.

Filippo La Porta, con il suo ultimo libro Elogio delle vite ordinarie (Il Saggiatore), interviene in un clima culturale dominato dall’ossessione per l’eccezionalismo. La retorica della potenza, della grande impresa, dell’azione che lascia il segno – politica, economica, militare – sembra essere diventata l’unico paradigma riconosciuto di successo. La Porta rovescia l’asse: la salvezza non sta nell’eroismo che conquista, ma nella cura minuta che custodisce. Non nella grandezza, ma nella misura.

Il libro intercetta un passaggio generazionale importante. Quella parte di italiani cresciuta con il mito della rivoluzione, dell’incendio politico capace di riforgiare il mondo, oggi si trova a fare i conti con un’altra verità: la cultura della grandezza – anche quando è “di sinistra” – finisce per assomigliare troppo alla stessa logica dei leader forti globali, che promettono dominio, potenza, vittoria. Intervistato recentemente dal “Venerdì” di Repubblica (19 settembre), ha spiegato come questo travaglio sia stato anche il suo. «Alla fine degli anni Ottanta ho fatto un bilancio personale dell’impegno politico. Avevo vissuto nel mito della rivoluzione, immerso in un fiume di parole, dette e scritte, nelle quali c’era anche molta fuffa. Dopo anni incendiari, improvvisamente mi sono trovato a pensare che il gesto veramente rivoluzionario, in un paese come il nostro, non è occupare una fabbrica, ma rispettare una fila».

La Porta non costruisce contrapposizioni ideologiche, ma pone una domanda morale radicale: quale vita salva davvero il mondo? Quella che sposta i confini o quella che tiene insieme la trama fragile del quotidiano?

Il riferimento a Wim Wenders e al suo “Perfect Days” è emblematico. La rivoluzione non è gesto straordinario, ma responsabilità silenziosa, radicata nel proprio compito. Non è spettacolo, è fedeltà. Non è la grande narrazione di potenza, ma la capacità di proteggere il bene mentre tutto spinge verso una cultura del conflitto.

La Porta, da critico letterario, rimette al centro ciò che la società ipermediatica scarta: il valore non appariscente della gentilezza, del limite, della prudenza nelle relazioni e nella politica. In un tempo che ha idolatrato l’eccezione – e che ancora oggi premia leader che promettono di riscrivere tutto – il libro offre una strenua difesa del possibile umano: una “ecologia dell’esistenza”, che ripara senza rumore e non si misura con la forza. È una lezione preziosa per chi cerca di restituire senso alla vita comune e alla politica come servizio.