Non è un mistero che non si amino troppo, Meloni e Salvini. La loro tregua regge, appesa com’è al filo del comune interesse di governo. Ma si tratta di una tregua fra- gile, che già nei prossimi mesi verrà messa a soqquadro dalla competizione per il voto europeo (e più ancora dalla complicata gestione del dopo-voto).
Nulla di scandaloso, se vogliamo. E nulla di inedito. La storia politica italiana è infarcita di una gran quantità di collaborazioni assai competitive che alla fin fine hanno creato un po’ di scompiglio ma quasi nessuna eversione dell’ordine politico. È possibile che anche questa volta i litigi di maggioranza produrranno solo una gran turbolenza.
E tuttavia i due alleati prima o poi dovranno scegliere su quale terreno sfidarsi. E in particolare Meloni dovrà decidere cosa fare con quel mondo che sta alla sua destra e di cui Salvini ambisce a fare il leader. Il fatto è che certe intemerate del capo leghista sembrano voler ricordare a Meloni, senza troppi complimenti, il suo “come eravamo” di appena pochissimi anni fa. Quasi che il vice si stesse proponendo come una sorta di fantasma di Banquo che appare a Macbeth per ricordargli i suoi trascorsi e le sue macchinazioni.
La sfida tra Meloni e il suo vice non è insomma una banale contesa di potere. È una prova che verte sull’identità. E che Meloni può combattere in due modi opposti. O radicalizzandosi verso destra. O inoltrandosi a poco a poco nella direzione opposta. Dilemma assai complicato, si dirà. Rispetto al quale però la presidente del consiglio non potrà percorrere una furbesca via di mezzo.
Fonte: La Voce del Popolo – 8 febbraio 2024
[Articolo è qui riproposto per gentile concessione del Direttore del settimanale della Diocesi di Brescia]