La protesta degli agricoltori europei esige una risposta politica

In tema di un necessario cambio di paradigma dell'agricoltura europea c'è solo l'imbarazzo della scelta per un impegno che lasci trasparire la specifica ispirazione politica e culturale dei Popolari.

La protesta portata avanti in queste settimane dagli agricoltori nei maggiori Paesi europei è qualcosa di più di un elenco di rivendicazioni settoriali ma pone delle questioni squisitamente di natura politica che riguardano il futuro dell’Europa e interpellano le varie famiglie politiche dell’Ue e i partiti nazionali.

A livello europeo tali proteste contribuiscono a riportare al centro del dibattito, a pochi mesi dalle elezioni europee, il Green Deal europeo con il quale l’Ue si è data degli obiettivi ambiziosi in tema di sostenibilità, che risultavano eccellenti a tavolino ma che, come tutti i progetti necessitavano della prova dei fatti. In tal senso le attuali rivendicazioni degli agricoltori possono risultare salutari nel costruire insieme per la prossima legislatura europea, un programma di transizione ecologica che mantenga le ragioni di un impegno per l’ambiente, arricchendolo delle ragioni della sostenibilità sociale. Si tratta, detto con il linguaggio della Laudato Si’, di attuare il principio dell'”ecologia integrale”, capace di coniugare le ragioni ambientali con quelle sociali, nonché, come si tende a fare nel resto del mondo, di tenere conto in misura adeguata della reale e specifica situazione socio-economica in cui si attuano le politiche ambientali, le quali in quanto obiettivi dell’agenda ONU sulla sostenibilità, sono condivise da tutti gli Stati – in modo da evitare di produrre nuove ingiustizie, dovute a una non equa distribuzione degli oneri della transizione ecologica, che penalizza i ceti popolari.

La principale posta in gioco appare, dunque, quella di perseguire un approccio improntato all’equilibrio, al buon senso, alla neutralità tecnologica e alla lungimiranza delle politiche europee, fuori da ogni isteria ideologica come da una irresponsabile inazione. In questa prospettiva l’Europa potrà divenire un modello per il mondo per quanto riguarda il cambio di paradigma per l’agricoltura. Al posto delle monoculture, spesso favorite dall’accaparramento dei terreni (il volto moderno del latifondo) operato da chi trae i maggiori vantaggi dalle ancora non risolte distorsioni del sistema finanziario, degli ogm, dei brevetti sui semi di poche multinazionali, dell’uso intensivo di prodotti chimici, potrà affermarsi un’agricoltura più rispettosa degli equilibri della natura. Un processo favorito anche dal promettente sviluppo di nuove tecniche di ingegneria genetica (le TEA Tecniche di Evoluzione Assistita, o NGT, New Genomic Techniques), che, a differenza degli ogm, si svolgono all’interno di una stessa specie vegetale, potendo in tal modo migliorare la resistenza delle piante ai parassiti, alla siccità, senza il pericolo di effetti collaterali sulla salute umana.

Sul piano interno, il rischio è quello che l’interlocuzione con gli agricoltori diventi una questione tutta interna al centrodestra, con la sinistra, che pure si dimostra più attenta all’ambiente, colta in contropiede a difendere un modello di agricoltura che però è alla portata solo delle fasce sociali più facoltose che ormai costituiscono la base elettorale dell’estrema sinistra e della sinistra. E con l’area di centro che, almeno sinora, mi pare stenti a cogliere l’importanza culturale e politica, di questa sfida che la mobilitazione degli agricoltori ha riportato al centro dell’attenzione in tutt’Europa. Forse anche perché alla fine i discutibili presupposti su cui si basa il bipolarismo hanno finito per contagiare anche il centro. Ossia, come destra e sinistra si sono illuse di poter inaugurare un’alternanza basata sull’eterno ritorno dei due poli a prescindere dai programmi, per poi scoprire che molti elettori o non vanno più a votare oppure alimentano la pericolosa “terza via” del populismo, così mi pare non ancora del tutto sconfitta la tentazione politicista, che alimenta l’illusione che il centro possa esistere sulla scena politica per una sorta di diritto di geometria della politica a prescindere dai programmi. Credo invece che il rilancio del centro passi necessariamente dall’immersione nei problemi cruciali del nostro tempo, con cui si forgiano anche le altrettanto necessarie forme organizzative. E in tema di cambio di paradigma dell’agricoltura europea c’è solo l’imbarazzo della scelta per un impegno che lasci trasparire la specifica ispirazione politica dei Popolari.