Giovanni Federico
C’è qualcosa di terribilmente beffardo in questa specie di raggiri che inducono, da principio, più al sorriso che alla condanna. Sono chiamate truffe sentimentali. Donne e uomini cadono vittime di bande specializzate che sfornano cinici corteggiatori che per web fanno innamorare l’ingenuo di turno. Le organizzazioni africane sembra siano abilissime in materia.
Anni fa anche le donne dell’Est imbambolavano i nostri pensionati prosciugandogli le sostanze, ma almeno si rendevano visibili alle loro vittime con qualche minima moina. Ora la fatica di apparire è risparmiata. Sul web si ruba ad esempio l’identità a qualche ignaro, magari, come è accaduto, un militare di bell’aspetto, e si concupisce la donna che in genere oscilla tra i 40 e i 60 anni. Dopo le prime attenzioni proprie del corteggiamento, lo chiamano “bomb loving”, si passa alla richiesta iniziale di soldi, giustificate da una improvvisa esigenza e si va avanti così per come si può. Anche gli uomini, comunque, non sono esenti da queste fregature.
Del resto alla gente piace essere gabbata. Insegnava Demostene che l’essere umano crede vero tutto ciò che desidera. I venditori televisivi in qualche caso, con le loro pozioni miracolose, ne sanno qualcosa. Nel caso di questo genere di truffe si parla di ipnosi d’amore ed è spietato il giudice che è costretto a riportarti alla realtà. Ancora è nella memoria una canzone a titolo “La compagnia” che nel refrain recitava: “Felicità, ti ho perso ieri ed oggi ti ritrovo già…”. Si è tutti drammaticamente in cerca di compagnia.
Dicono gli esperti che questo tipo di truffa registra la derisione del mondo, per chi è stato abbindolato, e la angoscia per le gravi conseguenze emotive che ne patiscono le vittime. Si cade in un pesante stato di prostrazione per aver fatto correre, senza saperlo, il cuore a tassametro. Più che di truffa secondo l’art. 640 del codice penale vorremmo dire al legislatore di prevederne un altro che configuri un inganno sentimentale con tutte le sanzioni conseguenti. La questione non è solo di tasca ma di ferite dell’anima.
Tecnicamente si chiama “Scam” la truffa, principalmente online, pianificata con metodi di ingegneria sociale e chi la subisce è definito uno skammato. Nella settimana santa, la tradizione napoletana racconta che era d’uso per alcuni monaci mangiare di magro, cibandosi fuori dalle loro camere. Erano per questo chiamati gli “scammarati”. Si distinguevano da quelli che, diversamente, per ragioni di salute, dovendo necessariamente nutrirsi di carne, nel chiuso delle loro celle, invece “cammaravano”. Da qui la creazione della frittata di scammaro, con pochi e poveri ingredienti per cucinarla, che sosteneva i religiosi che appunto si astenevano dal consumo di carne.
Il Romance Scam imperversa al tempo d’oggi e lascerà a bocca asciutta e ad amara dieta chissà ancora quanti innocenti. Non si tratta di un reato come gli altri che operano con l’esercizio di una azione violenta o di destrezza materiale. Siamo nel campo del pathos ed il dolore che ne consegue non va confuso con quello di altri delitti. Se si tornasse ad essere comunità ed a fare rete, non si cadrebbe nella rete delle delusioni, ad essere crudelmente scambiati con l’inganno, abusati nelle emozioni. I cuori, non più a digiuno, non avrebbero più bisogno, forse, di gendarmi a vegliarne l’incolumità.