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domenica, 17 Agosto, 2025
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Alaska, il puzzle complicato della pace: l’Europa batta un colpo

La ripresa del dialogo fra Usa e Russia costituisce una sfida per l'Ue. Attraverso le vie della diplomazia, può rilanciare il proprio autonomo contributo alla costruzione di un nuovo ordine globale.

Il vertice del giorno dell’Assunta fra i presidenti di Stati Uniti e Federazione Russa, pur non avendo prodotto risultati subito tangibili, sembra aver dato modo a strategie, e corrispondenti narrazioni, diverse e talora anche divergenti, di ribadire la loro presenza. Non solo e non tanto, sulla questione ucraina, quanto sul tipo di relazioni fra Est e Ovest, su una nuova architettura di sicurezza in Europa e su una governance globale adeguata ai tempi.

Procediamo con ordine. Innanzitutto, occorre distinguere fra le dichiarazioni sugli esiti dell’incontro fra Trump e Putin delle cancellerie europee, che riflettono quello che è l’ambito di esercizio di responsabilità della politica nell’immediato e le strategie rivelatrici di processi storici in corso.

Le prime rispondono a necessarie logiche di schieramento, di bilanciamento di pesi sia in relazione allla guerra in corso in Ucraina sia in relazione alla fase che seguirà dopo la conclusione del conflitto.

In particolare è da ritenersi che la posizione di lealtà dell’Italia non possa esser in alcun modo scambiata per passività o per immobilismo. Appare inconfutabile il fatto che Roma sia destinata a rivestire un ruolo rilevante nel dispiegarsi di quei processi storici che ci stanno consegnando un nuovo assetto globale. Peraltro, da entrambe le sponde del Tevere, perché il Vaticano è uno dei soggetti della politica globale e oltretutto si trova nella felice – almeno da un certo punto di vista – situazione di avere proprio in questa fase di cambio d’epoca un pontefice statunitense.

Credo sia importante soffermarsi invece più sugli aspetti strategici, rinvenibili in quel vertice. Il cui filo rosso è stato partire dalle fondamenta della pace, prima di realizzare il tetto (una soluzione per l’Ucraina): riannodare i fili del dialogo e riesumare un clima di fiducia fra le parti. Un approccio multilivello che ha incluso, anzi privilegiato i temi dell’economia, del commercio, di un equo sfruttamento delle risorse naturali, dei rapporti di buon vicinato fra due stati giganteschi per superficie, che si affacciano entrambi su due oceani e che finiscono per confinare alle loro latitudini polari. Proprio l’Artico, stando a quanto ufficialmente è trapelato, è stato uno dei temi principali trattato nel vertice di Anchorage. Un fatto che non può esser scambiato per una casualità fra chi, come la Sioi, dal 2018 promuove l’iniziativa internazionale annuale _Arctic Connections_ , per approfondire lo studio e sensibilizzare sugli enormi ed inediti risvolti geopolitici di questa regione, accresciuti anche per effetto dei cambiamenti  climatici.

Affiora, quindi la necessità di capire cosa stia realmente accadendo di nuovo nelle relazioni russo-americane. Novità che rievocano in qualche modo quello spirito di Pratica di Mare, di inizio Millennio, che in seguito portò la Russia nel G8 e addirittura nel partenariato strategico con la Nato. Periodo in cui l’Italia, la Germania, l’Unione Europea furono protagoniste nel dialogo fra Est e Ovest.

E questo ricordo fa risaltare le responsabilità di ciò che successe dopo. Perché, se giustamente imputiamo alla Russia la gravissima colpa dell’invasione dell’Ucraina, in sede storica non si possono cancellare le altrettanto gravi responsabilità di chi, neocons americani, britannici, in primis, diedero il loro contributo decisivo nel decennio precedente a creare le condizioni di instabilità in Ucraina che portatono all’inaccettabile ed illegale reazione russa del 2022.

Ma siccome sarebbe illusorio pensare che strategie in Occidente così consolidate – tali sono quelle del “partito di Kissinger”, improntato al realismo e non ostile alla transizione verso un nuovo multilateralismo, e la strategia “unilateralista” che in ultima analisi ha la sua guida nei poteri finanziari londinesi, alla quale l’Ue appare eccessivamente soggetta – si possano dissolvere velocemente per dare avvio a una fase nuova, allora la considerazione, pragmatica da fare forse è quella di un grande esperto di questioni militari come Alessandro Politi che sostiene che al punto critico in cui siamo giunti, una sospensione decennale, di lungo termine delle ostilità, alla fine converrebbe a tutti.

Un compromesso probabilmente accettabile anche in Occidente, oltreché dalla Russia, sia fra quanti lavorano per traghettare Stati Uniti ed Europa nel nuovo sistema di governance globale, sia fra coloro che attivamente continuano ad ostacolare un tale processo, sinora con discreti risultati, che però in prospettiva potrebbero costare molto cari all’Unione Europea.