Alcuni valori fondanti costituiscono il ponte tra cinema e politica

Responsabilità e fedeltà: distintamente Pupi Avati e Nanni Moretti regalano ai nostri tempi due valori da rivivere anche in politica, poiché costituiscono da sempre il senso e la riconoscibilità del vivere umano.

Fabrizia Abbate

 

Andare al cinema non è più appuntamento di tutti, lo sappiamo. Le nuove piattaforme, la mutata fruizione televisiva, la pandemia, le abitudini culturali che, soprattutto nel nostro paese, hanno subìto una trasformazione evidente: tutto ha modificato la natura del rapporto con la sala cinematografica. I registi ne sono consapevoli. I giovani si sono preparati a codici stilistici versatili che possano funzionare in sala e on demand, i non più giovani hanno trovato spesso la loro personale via di convivenza con le esigenze della produzione e del mercato. E poi ci sono loro, i maestri, che mantengono la loro cifra e restano fuoriclasse perché sanno ancora distinguere il prima dal dopo, sanno perciò ritagliarsi il loro originale spazio di autenticità pur sapendo che probabilmente sarà condiviso con i pochi e non con i molti: è questa oggi, forse, la scelta più coraggiosa che si possa fare in ogni campo, dall’arte alla politica, passando anche per l’accademia e l’etica pubblica.

 

Basta andare a vedere i film di Pupi Avati e Nanni Moretti, in sala in questi giorni, per capire a cosa mi riferisco (La quattordicesima domenica del tempo ordinario e Il sol dell’avvenire). Due film differenti, di due autori distanti da sempre, con contenuti certamente non assimilabili. Non mi permetterei mai di fare confronti o di cimentarmi in notazioni cinematografiche che richiedono altre competenze, rischierei di scrivere mere opinioni, e mi sembra che ce ne siano già troppe, che esplodono come fuochi d’artificio in ogni sagra di paese. Mi limito a due fatti, se di fatti si può riuscire a parlare nell’arte (grande questione estetica), e solo perché quei due fatti credo possano offrire un piccolo e prezioso contributo alla politica di oggi.

 

Primo fatto. In un passaggio del film di Nanni Moretti viene pronunciata con voce limpida e sicura la parola “responsabilità”: responsabilità per le immagini di violenza che la fiction costruisce e diffonde, responsabilità per ogni bellezza deturpata e violata, responsabilità di ciascuno per tutti. Lo stesso personaggio di Moretti nel film dice che non si tratta di questione solamente estetica, ma propriamente etica. Dov’è la novità, vi chiederete? La novità è sentirle quelle parole, così convinte e chiare, dette con la semplicità di chi in quei contenuti crede, perché il suo cinema ne ha tenuto fede. Che questo appello all’etica avvenga in una trama fatta dal circo di Budapest, la sezione del Partito Comunista del Quarticciolo, la crisi della sinistra e del matrimonio del protagonista, l’avvento di Netflix visto “in 190 paesi”, quasi non ci interessa qui (ovviamente, come spettatori ci ha interessato). Era da tempo che un discorso così pedagogico sulla responsabilità non trovava spazio e forza sullo schermo, in sala.

 

Secondo fatto. Nel racconto esistenziale d’amore e di vita in cui Pupi Avati ci porta per mano alla scoperta dei sentimenti e dei fallimenti, c’è la riaffermazione forte di un valore, vissuto anch’esso con tutti i limiti e le cadute dell’umano: la fedeltà. Non si tratta della fedeltà coniugale, né dell’assolvimento di doveri o di rispetto di regole e principi: si tratta della fedeltà alla propria natura e a qualcosa di grande in cui si crede per sempre, che sia un amore o una passione divenuta arte e lavoro. Alla fine della trama, è quella fedeltà del protagonista a vincere su tutta la disperazione, una fedeltà profonda come il blu di cui vengono tinte le pareti della casa calda di legni che vediamo dall’inizio alla fine del film.

 

Responsabilità e fedeltà, insieme: due maestri del cinema, così dissimili (anche per convinzioni politiche), regalano ai nostri tempi l’attenzione a due valori che hanno da sempre costituito il senso e la riconoscibilità del vivere umano, delle politiche pubbliche e (perché no?) dei partiti politici. Smarrire la fedeltà alla propria natura e svilire il principio di responsabilità significa, in un tutt’uno, svuotare di democrazia qualsiasi pratica sociale e autonomia politica. Pensiamoci.