L’Osservatore Romano | Dialogo a distanza con Michela Murgia su malattia, male e mistero.

Andrea Monda

 

L’intervista a Michela Murgia pubblicata sul «Corriere della Sera» sabato 6 maggio ha lasciato in molti un segno per la sua altissima intensità umana e spirituale. Ogni risposta è ricca di spunti che chiedono l’ascolto e la riflessione da parte del lettore. Non solo e non tanto per il merito di tante affermazioni, che vanno semmai ascoltate come si ascolta un racconto personale, quanto per la chiave di lettura che esse danno e la condivisione che esse offrono.

Ce n’è una in particolare che mi ha molto colpito, quando la scrittrice sarda, parlando apertamente del suo male, spiega anche la terapia che sta seguendo che «non attacca la malattia; stimola la risposta del sistema immunitario. L’obiettivo non è sradicare il male, è tardi, ma guadagnare tempo».

 

Non ho alcun titolo per parlare di questioni sanitarie, ma c’è una dimensione più ampia, spirituale, che mi ha colpito e che secondo me merita e richiede molta attenzione.

 

Nella parabola della zizzania raccontata nel Vangelo secondo Matteo c’è qualcuno che vuole subito sradicare il male, e Qualcun altro, il padrone del campo, che invece sceglie un’altra via, che richiede tempo e certosina pazienza. Perché la zizzania, il male, non è solo un accidente ma finisce per coincidere con l’essenza stessa della buona pianta di grano. «Il cancro non è una cosa che ho; è una cosa che sono» dice Michela Murgia, «è un complice della mia complessità, non un nemico da distruggere. Non posso e non voglio fare guerra al mio corpo, a me stessa». E aggiunge: «Meglio accettare che quello che mi sta succedendo faccia parte di me. La guerra presuppone sconfitti e vincitori; io conosco già la fine della storia, ma non mi sento una perdente».

 

Se seguiamo questa pista ci addentriamo nell’immenso tema del mistero del Male. Ma dobbiamo essere consapevoli che lo si può fare solo in punta di piedi. E con umiltà.

 

Il testo biblico, non solo della parabola della zizzania ma tutta la Bibbia, ci ricorda che il Male non è fuori ma dentro l’uomo, non è concentrato ma sparso in modo infinitesimale, non risiede in un posto preciso, per cui non ci sono “luoghi sicuri” sulla terra, finché il tempo scorrerà. In altri termini: non ci sono i buoni e i cattivi che si scontrano in modo chiaro e definito sullo scacchiere del mondo, ma bene e male sono confusi dentro la storia e soprattutto nel cuore dell’uomo, campo di battaglia secondo l’espressione di Dostoevskij dove il diavolo combatte con Dio. Siamo abitati dal soffio divino. Ma siamo anche tutti peccatori; e uno dei segni evidenti di questa nostra fragilità è proprio la tentazione ricorrente di pensare di potere noi sradicare il male una volta per tutte, giudicando e condannando gli altri e nello stesso tempo auto-assolvendoci. Magari ringraziando Dio perché «non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri…» (Luca 18,11).

 

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