Proponiamo una sintesi della recensione critica, realizzata da Giuseppe Davicino, nostro collaboratore, giornalista professionista e studioso dei Brics, dell’ultimo Rapporto sull’Italia dell’Istituto d’Europa (IE) dell’Accademia Russa delle Scienze, nella convinzione che la cultura, ora come in passato, possa servire a aprire spiragli di dialogo anche nei periodi più difficili. Il direttore dell’IE, Alexey Gromyko, nipote dell’ex ministro degli Esteri dell’Urss, è noto per aver criticato dall’interno del sistema di potere russo le scelte di Putin sull’Ucraina.
Qui il testo integrale dello studio
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L’interesse costante di grandi istituzioni scientifiche di Paesi Brics verso l’Italia è un fenomeno che merita di essere analizzato. Anche la Russia, come Cina, India, Brasile e altri Paesi, dedica molta attenzione al Belpaese. L’ultimo Rapporto intitolato “L’Italia in un mondo turbolento: politica, economia e società”, dell’Istituto d’Europa (IE) dell’Accademia Russa delle Scienze (RAS), costituisce un documento importante non solo per capire come la Russia veda realmente l’Italia ma anche perché è destinato a incidere sulla classe dirigente russa nella formazione delle opinioni sul nostro Paese.
Questa Monografia sull’Italia ci restituisce una visione davvero unica, da un diverso punto di vista, sul sistema politico italiano. Interessante non solo sotto il profilo delle relazioni bilaterali, ma anche sul piano storico e sulle convinzioni che esprime sul presente, talvolta smentendo consolidati luoghi comuni. Come il giudizio che il team di ricercatori russi riserva alle formazioni populiste, Lega, M5S e FdI. Accomunate da una medesima polemica anti-sistema quando erano all’opposizione, rivelatasi una volta giunte al governo prevalentemente come espediente per raccogliere consensi. Accomunate, dunque, da un simile percorso trasformista, che ha riguardato prima Lega e Cinque Stelle: “i due principali partiti populisti – osserva il Rapporto IE RAS – sono passati dall’opposizione al governo, diventando vittime della spirale di protesta che loro stessi avevano contribuito a creare”. Questo ha favorito il partito della Meloni, che si è tenuto sempre all’opposizione dalla sua fondazione alle elezioni del 2022. Ma lo “spostamento della coalizione di destra verso il centro” e la continuazione della linea di Draghi sui principali dossier interni ed esteri, se da un lato appare rassicurare gli alleati europei e atlantici dell’Italia, dall’altro rischia di creare dei problemi con l’elettorato di Fratelli d’Italia. In generale, secondo il Rapporto russo, “il panorama politico [italiano, ndr] non sembra avviato verso la stabilizzazione. Al contrario, le tendenze chiave sono: crescente volatilità elettorale, trasformismo ideologico e de-istituzionalizzazione”.
La Monografia considera come una delle prove della svolta moderata del governo Meloni il ritiro del progetto del presidenzialismo in favore del premierato. Una decisione su cui ha influito anche, sottolineano gli studiosi russi, il fatto che “intorno alla figura di Sergio Mattarella si è consolidato un solido consenso nella società”, che rende “la Presidenza della Repubblica l’istituzione che gode della maggiore fiducia dei cittadini”.
Tra i numerosi approfondimenti storici sull’Italia repubblicana contenuti nel Rapporto, spicca quello sul multilateralismo come fattore chiave della politica estera italiana, dall’immediato dopoguerra ad oggi. Sebbene il termine “multilateralismo” sia apparso in politologia solo negli anni ‘70, l’Istituto di ricerche moscovita svela una cosa poco nota anche agli “addetti ai lavori” della politica italiana. Fu Giulio Andreotti a introdurre per primo il concetto di multilateralismo nel dibattito politico internazionale, nel 1988 durante un intervento all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. In virtù di questo attivo sostegno al multilateralismo lo Studio russo riconosce che “l’Italia è una media potenza con interessi globali”, fra i primi Paesi al mondo per soft power, con maggior capacità di influenzare le scelte di altre nazioni senza ricorrere a coercizioni militari o economiche.
Le conclusioni di questo Rapporto non mancheranno certo di far discutere la nostra opinione pubblica. Non foss’altro perché talora pongono questioni oggettivamente centrali per la democrazia italiana, senza risentire della tensioni dell’attuale difficile fase.