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giovedì, 10 Luglio, 2025
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America, democrazia o già post-democrazia?

Dalla stagione di Tocqueville al tempo di Trump e Musk: il tramonto della rappresentanza democratica tra leader-attori, sondaggi e social network.

Siamo letteralmente smarriti, per non dire preoccupati. Ma non perché Stanlio e Ollio si sono divisi e Stanlio ha fondato un suo partito personale. Bensì perché dall’America di Ollio arrivano notizie molto allarmanti a livello globale.

Il mito americano e la realtà di oggi

E pensare che noi italiani – di Hollywood, delle sue attrici e dei suoi attori, del suo jazz e dei suoi cantanti, del suo basket, ma soprattutto della sua democrazia liberale – dal secondo dopoguerra in avanti, abbiamo avuto una rispettosa deferenza.

Arrivati a questo punto, e per quel poco che ho letto di uno storico con gli occhi aperti sul futuro, il francese Alexis de Tocqueville, mi accontenterei che un suo omonimo si recasse oggi in America.

Girasse un po’ per città, campagne, case bianche, mastodontici grattacieli col cognome del proprietario, società alberghiere, casinò.

E poi visitasse sedi di social network globali, industrie di satelliti per telecomunicazioni con orbite già affollate, riserve di intelligenza artificiale, fabbriche di automobili, piattaforme digitali, e quant’altro.

Sono certo che al suo ritorno scriverebbe un libro dal titolo: “La morte della democrazia in America”.

Trump, Musk e la democrazia-spettacolo

Servirebbe però a farci capire lo stato di salute dell’attuale democrazia americana.

Il profilo psicologico del suo attuale presidente-autocrate Trump. Assieme a quello dell’arcimiliardario Musk, proprietario unico del nuovissimo partito personale digitale, fondato appena l’altro ieri sui social, dopo l’ormai immancabile sondaggio. Un terzo partito Usa di centro, tutto giocato sui suoi soldi e sul suo carisma da attore di spettacolo.

La lezione di Manin: fine della rappresentanza

Se qualcuno, a tale ultimo proposito, avesse ancora dei dubbi su quanto ha sostenuto trent’anni fa lo studioso francese Bernard Manin, riferendosi alla cosiddetta “democrazia del pubblico”, la discesa sulla scena politica di Musk dovrebbe toglierglieli definitivamente dalla testa.

In un suo citatissimo libro (Principi del governo rappresentativo, Il Mulino), Manin aveva infatti fatto capire che ai giorni nostri il partito politico, assieme ai cittadini elettori, non serve più a nulla.

Quel che serve è solo un leader-attore, un mezzo di comunicazione di massa – oggi i social media – e non più un popolo da rappresentare con tutti i suoi problemi, né un elettore consapevole, ma solo un pubblico da accalappiare con una comunicazione-spettacolo.

E dopo, ma solo dopo, mandarlo alle urne. E pensare che noi, sull’uso dei social e di internet, ce la siamo presa a suo tempo con il comico Grillo e l’intelligente Casaleggio!

Tocqueville, Musk e i partiti grandi e piccoli

Ma il nuovo partito di Musk mi ha fatto ancora una volta ripensare a Tocqueville.

Che, pur da giovane nobile aristocratico, era orientato più sul demos che sul kratos; più sull’uguaglianza che sulle diseguaglianze; più sulle libertà che sulle costrizioni.

E che, dopo il suo viaggio in America, aveva – tra le tante altre cose – affermato che i partiti politici potevano essere di due sole specie: grandi e piccoli. I grandi partiti si formano attorno a valori condivisi, focalizzandosi sul “noi” piuttosto che sull’“io”.

I piccoli partiti, invece, sono influenzati più dalle personalità che dalle idee, attenti ai bisogni materiali dei loro membri. Sono parole di due secoli fa!