Anche Etiopia e Egitto fanno prevalere la visione dei BRICS sulle loro divisioni

L'opinione pubblica italiana minimizza i processi in corso nel Sud Globale. La politica deve invece pensare a concorrere a definire il nuovo sistema di relazioni internazionali anziché subirlo per scarsa consapevolezza.

Cosa avranno mai da dirci gli ultimi sviluppi di una annosa controversia per una diga sul Nilo che vede coinvolti tre grandi stati africani, l’Etiopia da una parte e Sudan ed Egitto dall’altra? Probabilmente assai più di quanto a prima vista può sembrare.

Gli aggiornamenti consistono nel fatto che Etiopia ed Egitto, che sono entrambi in procinto di divenire membri dei BRICS+, si sono dati quattro mesi, a partire dallo scorso luglio, per raggiungere un accordo sulla gestione della nuova diga sul Nilo Azzurro, che ad Addis Abeba chiamano Grandiosa Diga del Rinascimento Etiope (GERD). E a meno di una settimana dal Vertice BRICS di Johannesburg, durante il quale è stata accolta la richiesta di adesione dei due Paesi, l’altro ieri è arrivato dal Cairo l’annuncio di un nuovo round di colloqui per superare i problemi ancora irrisolti.

Uno sviluppo tutt’altro che scontato, poiché sin dallinizio della costruzione della GERD nel 2011, il Cairo la ha considerata come una minaccia vitale per la stabilità egiziana e regionale, in quanto questa diga consente all’Etiopia di controllare il flusso del Nilo Azzurro che, a differenza dell’altro ramo del grande fiume, il Nilo Bianco, presenta una forte irregolarità nella portata a seconda delle stagioni.

Ora però, dopo anni di aspro confronto nelle relazioni tra i due Paesi e seppur con l’incognita costituita dall’instabilità del terzo Paese coinvolto, il Sudan sconvolto dalla guerra civile, si prospetta una possibile intesa complessiva.

La vicenda della diga sul Nilo appare come una nuova conferma di come ciò che fa da collante a una collaborazione fra Paesi che aspirano a riformare l’ordine internazionale in senso multipolare, risulti più forte di ciò che li divide. I BRICS – sin dall’inizio, con la rivalità fra Cina e India, e ancor più dopo l’allargamento, con la presenza di Paesi come Arabia Saudita e Iran, fino a ieri su fronti opposti – sembrano configurarsi come un insieme di diversità accomunate dall’obiettivo che considerano superiore ad ogni possibile divergenza fra di loro, di costruire insieme a tutti, anche con l’Occidente e i Paesi non allineati, un mondo più inclusivo e giusto.

L’opinione pubblica in Italia sembra evidenziare soprattutto gli oggettivi limiti dei Paesi BRICS, e relegarli in un ruolo velleitario di antagonisti, in campo monetario o geopolitico, al quale essi non sembrano aspirare, e che comunque non sta in cima alle loro priorità, piuttosto che a individuare elementi che aiutino a cogliere la reale portata della loro iniziativa. Il dato con il quale la politica si deve confrontare è invece l’emergere di una visione e di una proposta politica comune di governo globale, che viene avanzata unitariamente da un gruppo significativo, che rappresenta quasi la metà della popolazione mondiale, di Paesi non occidentali e che detiene una quota considerevole di materie prime e di risorse energetiche necessarie al mondo intero. Potrebbe rivelarsi un grave errore sottovalutarlo e continuare a ragionare e ad agire come se nulla stesse cambiando.

Occorre invece sviluppare maggiormente il dibattito nella direzione del ruolo specifico che l’Italia e l’Ue possono assumere e del contributo che possono dare nel nuovo scenario globale, certi che gli Stati Uniti saranno più decisi, rapidi e più incisivi di noi europei nel farlo. Minimizzare i processi in corso nel Sud Globale, pensando che questo in qualche modo possa rafforzare l’alleanza con gli Stati Uniti, rischia di essere solo un modo per giustificare la tentazione del nostro immobilismo.