Il patriarca di Mosca Kirill (Gundjaev) ha rivolto un saluto al presidente Vladimir Putin, in occasione dell’inaugurazione-incoronazione dell’ennesimo mandato presidenziale e dell’anniversario della Vittoria su ogni nemico, augurandogli di rimanere al potere do skončanija veka, un’espressione presa dalla liturgia analoga a quella latina in saecula saeculorum. Forse il patriarca intendeva semplicemente indicare un “mandato a vita” per lo zar-presidente, che mai come quest’anno ha esaltato la solennità dell’autocrazia con i tappeti e le fanfare del Cremlino, ma l’eccesso di zelo è stato talmente evidente che la sala stampa del patriarcato ha tagliato la frase dal comunicato che riportava il testo del patriarca.
La benedizione imperitura è risuonata la sera del 7 maggio al Cremlino nella cattedrale dell’Annunciazione, la cappella privata degli zar davanti al cui altare si stagliano le splendide serie di sacre immagini dei più grandi iconografi della storia russa, Teofane il Greco e Andrej Rublev, dove il presidente ha presenziato al Moleben, la litania augurale del patriarca. La preghiera di Kirill ha invocato l’intera schiera celeste e “la benedizione di Dio, la protezione della Regina del cielo siano con voi fino alla fine della vostra esistenza e fino alla fine dei tempi, come usiamo dire, e ho l’ardire di aggiungere che, a Dio piacendo, la fine del secolo significhi anche la fine della vostra permanenza al potere, poiché voi avete tutto quanto serve per compiere a lungo e con successo il vostro servizio alla Patria”. Nel testo diffuso dalla sala stampa la frase è stata ridotta alla “fine della esistenza” del presidente, e anche dal video del Moleben su YouTube è stata tolta la profezia escatologico-presidenziale.
In ogni caso Kirill si è rivolto al presidente con il titolo di vaše prevoskhoditelstvo, “vostra eminenza”, come era consuetudine riguardo ai membri della famiglia regale, aggiungendo che “per la grande misericordia di Dio il nostro tempo è stato gratificato dal fatto che a capo dello Stato russo c’è una persona di fede ortodossa, che non si vergogna della propria fede”. Secondo il patriarca, molti russi vedono in Putin “una persona molto buona, intelligente e di cuore”, anche se lo ha esortato a “non essere soltanto buono, ma anche severo, poiché il capo dello Stato deve prendere a volte decisioni fatidiche e groznye”, che si può tradurre con “clamorose” o meglio con “minacciose”, ribadendo l’analogia tra Putin e Ivan Groznyj, il “terribile” o appunto il “minaccioso”. Aggiungendo che “se non si assumono queste scelte drammatiche, le conseguenze potrebbero essere estremamente pericolose per il popolo e per lo Stato, e spesso si tratta di decisioni che comportano anche delle vittime”. Oltre all’accenno al primo zar cinquecentesco, il discorso patriarcale ha richiamato le gesta eroiche del principe Aleksandr Nevskij, che “non ebbe paura dei nemici ed è stato glorificato come santo”, senza peraltro aggiungere riferimenti diretti alla guerra in Ucraina.
A questo punto, secondo le nuove regole costituzionali approvate in modalità decisamente “poco ortodossa” nel 2020, Putin potrà guidare la Russia fino al 2036, quando compirà 84 anni, in caso di ulteriore rielezione nel 2030. La maggioranza dei sovrani della storia russa, principi, zar o segretari di partito, sono rimasti in sella fino alla fine della loro esistenza, ad esclusione dell’ultimo imperatore-martire Nicola II e del segretario Nikita Khruščev, spodestato da Brežnev e compagni per restaurare l’ordine staliniano. Dopo la fine dell’Urss si sono succeduti gli infelici governi di Mikhail Gorbačev (1985-1991) e di Boris Eltsin (1992-1999), per non parlare della presidenza “transitoria” di Dmitrij Medvedev tra il 2008 e il 2012, dove di fatto Putin governava come primo ministro, anche in questo imitando lo zar Ivan il Terribile che “designava” altri personaggi quando si ritirava nei possedimenti intorno a Mosca. In passato Putin aveva dichiarato più volte di non avere intenzione di rimanere al potere a vita, ma questo tema è stato ormai da tempo accantonato.
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