La Camera di Commercio dell’Unione europea in Cina ha definito l’evento “una vetrina politica”. Carlo D’Andrea, vicepresidente della Camera, ha dichiarato in un briefing con i media il 3 novembre scorso che “è più un evento di affari governativi, di marketing e si è parlato davvero poco di affari”.
Quest’anno è stato il premier cinese Li Qiang ad annunciare l’apertura ufficiale della Ciie. Un fatto significativo, perché è la prima volta che il presidente Xi Jinping non tiene il discorso della cerimonia di apertura dell’esposizione.
Un sondaggio condotto dalla Camera il mese scorso ha mostrato che il tasso di partecipazione dei suoi membri è sceso dal 42% al 32% dalla prima esposizione. Sebbene il 59% delle imprese intervistate abbia dichiarato di aver tratto beneficio dall’impegno del governo in fiera, l’anno scorso solo un quarto dei partecipanti ha concluso affari all’expo. Un dato ben diverso anche solo al 2018 quando circa la metà dei partecipanti aveva concluso accordi in fiera. La maggior parte dei partecipanti sono grandi aziende, anche perché la presenza di piccole e medie imprese è ostacolata – se non bloccata – dagli alti costi di partecipazione e dalla logistica.
Il leader cinese Xi Jinping ha lanciato la fiera a Shanghai nel 2018 per rispondere alle critiche sul massiccio surplus commerciale, nel momento in cui l’ex presidente statunitense Trump aveva iniziato la guerra commerciale con la Cina. All’epoca Pechino aveva promesso di importare più prodotti e servizi e di dare maggiore accesso alle aziende straniere. In realtà, a distanza di cinque anni il deficit commerciale dell’Ue con la Cina è ancora in aumento. E un numero sempre maggiore di aziende straniere si lamenta dell’ambiente commerciale sin troppo politicizzato della Cina.
Ciononostante, per l’edizione 2023 gli Stati Uniti hanno allestito per la prima volta un padiglione espositivo all’Expo. Nel contesto delle tensioni tra le due potenze, l’ambasciatore Usa in Cina Nicholas Burns ha inaugurato il padiglione e ha promesso di promuovere il commercio fra le parti, non il decoupling (in sostanza, ricollocare la produzione delle imprese americane fuori dalla Cina in settori ritenuti strategici).
Secondo quanto riportato dai media ufficiali cinesi, quest’anno alla China International Import Expo partecipa la metà delle aziende presenti nel Fortune Global 500. Fra queste, vi è anche il produttore americano di semiconduttori Micron. Le autorità di Pechino hanno escluso l’azienda dalla rete delle infrastrutture di telecomunicazione per motivi di sicurezza nazionale.
Fonte: AsiaNews – il titolo originale è “Pechino: deficit negli investimenti diretti esteri, nubi sul futuro delle imprese”. Il testo qui riproposto è uno stralcio dell’articolo.
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