Attilio Piccioni, un autentico padre fondatore della Repubblica e della Dc.

Interessante convegno ieri allIstituto Sturzo sulluomo politico che, tra laltro, guidò la Dc nella battaglia del 18 aprile. Di seguito un ampio stralcio delleditoriale che Andreotti gli dedicò (30 Giorni-marzo 2000).

Giulio Andreotti

Attilio Piccioni, uno degli uomini di maggior valore della Democrazia cristiana, merita di essere adeguatamente ricordato, ora che, non sempre con la dovuta obiettività, si sta ricostruendo la storia italiana del dopoguerra. Non lo sentii mai gloriarsi e ne avrebbe avuto il diritto del suo ruolo di segretario politico della Dc al momento della decisiva battaglia elettorale del 18 aprile 1948. Ripeteva la massima di don Sturzo secondo la quale i successi vanno accreditati alle idee e gli insuccessi addebitati alle persone.

La sua storia ha inizio quando due insegnanti elementari si sposano a Poggio Bustone, la valle del Reatino detta santa per le memorie francescane (tra le quali il primo presepio voluto dal santo a Greccio). I due avevano provenienza diversa: da Foligno e da Reggio Emilia. La destinazione a Poggio segnò il loro comune avvenire. Dei figli, tre si distingueranno; oltre ad Attilio, anche Giovanni, che fu sacerdote a Pistoia e vescovo di Livorno, ed un terzo, funzionario di prefettura in Torino ma con propensioni personali al movimento anarchico.

Attilio, nato il 14 giugno 1892, terminato il liceo a Rieti si trasferì a Roma seguendo i corsi alla Sapienza, prima del termine dei quali venne chiamato alle armi, prima come bersagliere e poi come istruttore pilota. Scherzando (una fine ironia lo caratterizzò sempre) diceva che era lunico modo per far la guerra stando seduto. Dinanzi a certi politici superattivi ripeteva che la pigrizia lo salvava dalle improvvisazioni, ma intellettualmente era tuttaltro che pigro.

A Torino, ospite del fratello, avvenne la duplice svolta della sua vita: mise su famiglia e fu folgorato dallappello sturziano ai liberi e forti, nel gennaio 1919. Non aveva militato in precedenza nelle organizzazioni cattoliche, ma il popolarismo lo conquistò. Fu il primo segretario del Ppi nel capoluogo piemontese, in una cerchia di politici coraggiosi e illuminati che strinsero tra loro una fervida amicizia super partes. Non a caso uno degli scritti più significativi di Piccioni uscì sul giornale di Piero Gobetti Rivoluzione Liberale.

Nelle elezioni del 1919 ed in quelle del 1921 i popolari raccolsero forti suffragi, ma il quadro generale era debole e inquietante. Impossibile una cooperazione con i socialisti; forte la reazione dei vecchi notabili contro ambedue i partiti di popolo; dura lazione dei fascisti per abbattere il sistema. La presenza fascista alla Camera dei deputati era esigua e questo ingannò quanti erano abituati a veder tutto nellambito di Montecitorio. A stretta maggioranza gli eletti del Ppi decisero che si poteva collaborare con il governo di Mussolini, sempre nellintesa di poterlo far cadere se le speranze di un assestamento dei fascisti nellalveo costituzionale si dimostrassero vane. Il che avvenne in effetti dopo pochi mesi, e proprio al congresso del Ppi di Torino dove il giovane segretario cittadino si distinse per lintransigenza. Ma era troppo tardi. Mussolini non si dimise affatto ed anzi, quando nellemozione del delitto Matteotti i deputati democratici sullAventino o in Aula si dissociarono, strinse i freni etirò diritto. Persecuzioni e purghe si riversarono sugli oppositori, disperdendone le file ad eccezione del piccolo numero dei resistenti.

Torino però non era più sede adatta per svolgervi, a fascismo imperante, la professione forense. Per un ventennio la famiglia Piccioni si trasferisce a Pistoia, in collegamento di studio con un altro reduce dalle battaglie democratiche: Adone Zoli.

Rimasto vedovo si dedicò ai figli, trovando a parte la professione forzatamente in tono minore un proprio spazio intellettuale e morale nelle letture e nei contatti con quel nucleo di antifascisti o non fascisti che non avrebbe mai desistito dalla fede nella riscossa.

Il 19 marzo 1943 in casa di Giuseppe Spataro (che Piccioni aveva sempre frequentato senza paure e coltivando intatta lamicizia) convennero da tutta Italia molti ex, per festeggiare lamico, ma in realtà per rilanciare su vasta scala il movimento. La polizia non disturbò questo convegno; qualcuno dei capi voleva forse riscattare lacquiescenza al regime e acquisire titoli di merito verso il cambiamento che era ormai alle porte.

Invitato come presidente della Fuci insieme ad altri giovani, fummo colpiti dalla autorevolezza di De Gasperi, dalla loquacità di molti onorevolie dal silenzio dellavvocato Piccioni, rotto solo da qualche «chi si rivede!» che sottolineava la lunga assenza di molti nel corso del ventennio.

Dopo poco più di centoventi giorni il fascismo cadeva. Esponente del Comitato di liberazione, Piccioni restò in Toscana fino alla riconquistata libertà; ed accettò subito dopo linvito di De Gasperi e di Spataro a trasferirsi a Roma. Il suo intelletto, la sua arguzia, il fascino di un antifascismo datato ne fecero un punto di riferimento essenziale specie per noi giovani, che da parte sua curò particolarmente. Ci volle con sé a Lucerna in una riunione delle Nouvelles Equipes Internationales che furono il primo nucleo di connessione del popolarismo europeo e mondiale.

Nel settembre 1945 si aprì la Consulta nazionale, formata dai più illustri esponenti dellantifascismo militante, da pochi di noi giovani apprendisti e da rappresentanti delle categorie. Compito principale era la preparazione dellAssemblea costituente, a partire dalla relativa legge elettorale.

Lorientamento per il sistema proporzionale era molto largo. Dal perdurante esilio (le autorità ecclesiastiche ne ritardarono il rientro) don Sturzo ricordava che aveva potuto dar vita al Partito popolare solo quando si era messo via il vecchio uninominalismo ed accettato il suffragio con il proporzionale. Attilio Piccioni fece in proposito uno stupendo discorso, definendo le voci contrarie come una difesa dufficio («un debito nostalgico di alcuni insigni e vecchi uomini politici in continuità con un non lontano passato»). E continuò: «È un fatto veramente significativo che nessun giovane, dei giovani uomini politici che vengono sorgendo a costituire il nuovo ceto politico direttivo del Paese, ha sentito la necessità di assumere comunque la difesa del collegio uninominale: neppure il collega Lucifero, tanto meno il collega Cassandro, liberale, per riferirmi ai settori che possono essere più vicini ad una impostazione di quel genere.

I mali che si rimproverano al proporzionale non sono evidentemente profondi e sostanziali ma connaturati, se mai, con il persistente costume politico italiano e con alcune caratteristiche peculiari della nostra vita politica, specialmente locale.

La democrazia moderna come tale, sebbene sia stata per lungo tempo volutamente confusa col liberalismo, è invece qualche cosa di diverso, ha una esigenza fondamentale, strutturale, diversa da quella che poteva esser fatta valere in regime liberale prefascista. Liberalismo vuol dire organizzazione politica dello Stato nella quale si punta decisamente sullindividualismo, le cui limitazioni devono essere ridotte al massimo. Democrazia significa allargare il compito politico a tutto il popolo, significa organizzare giuridicamente tutto il popolo perché partecipi in modo attivo, permanente e responsabile alla vita politica del Paese.

Il liberalismo postula dal punto di vista elettorale lesigenza personale e la esigenza localistica del collegio uninominale; la democrazia, appunto per queste sue profonde caratteristiche di organizzazione integrale, postula necessariamente il sistema elettorale proporzionale. Né vale addurre, come si suole fare troppo spesso, lesempio in contrario dellInghilterra e degli Stati Uniti dAmerica. Sono democrazie anche queste, per quanto notevolmente diverse da quella che è la democrazia nellOccidente europeo».

Giulio Andreotti con Attilio Piccioni

La conclusione fu emozionante: «O colleghi, bisogna staccarsi dal passato». E le elezioni si svolsero con il proporzionale.

Nel frattempo vi era stato un acceso dibattito sul modo di decisione della scelta istituzionale, accantonata dal 1944 per non togliere unanimità di energie alla lotta di liberazione. Secondo alcuni si doveva dar luogo ad un referendum pro o contro il mantenimento della monarchia abbinato allelezione dei costituenti. Altri invece pensavano che spettasse agli eletti del popolo sciogliere il nodo dopo adeguata discussione. Don Sturzo dallAmerica caldeggiava con vigore la seconda tesi, mentre De Gasperi si batté per il referendum simultaneo e trovò in Piccioni un riservato ma decisivo sostegno. Non era solo la necessità di impedire che i cittadini dovessero dare un mandato specifico (che per la Democrazia cristiana, ma non solo per essa, sarebbe stato nefasto). Si doveva sgomberare preventivamente il campo e lasciare che lAssemblea potesse tracciare il disegno dellordinamento statale con una ricerca quotidiana di punti di incontro e di sintesi che il contrasto sulla scelta istituzionale avrebbe impedito.

Risolto il problema con la vittoria repubblicana del 2 giugno 1946 (la saggezza e il prestigio di De Gasperi furono essenziali, ma senza lautorevolezza di Piccioni egli non avrebbe potuto sviluppare la sua azione, superando gli ostacoli dei massimalisti) iniziarono i lavori della Costituente. Ad una commissione di settantacinque deputati Piccioni tra questi venne dato lincarico di redigere lo schema, che fu poi discusso ed approvato in Aula.

De Gasperi aveva lasciato intanto la segreteria della Dc, sostituito appunto da Piccioni, sotto la cui guida si svolse la campagna elettorale per la prima legislatura repubblicana, vittoriosamente conclusa il 18 aprile 1948. Ancora una volta Piccioni aiutò il presidente De Gasperi a respingere le ansie dellala contraria al perdurare della collaborazione della Dc con i partiti democratici liberale, socialdemocratico e repubblicano. Del nuovo governo di coalizione Piccioni fu vicepresidente. Il suo peso era notevole per impostare e far approvare leggi fondamentali come la Riforma agraria e la Cassa per il Mezzogiorno.

Per vari motivi la legislatura 1948-1953, pur così ricca di decisioni (Piano Marshall, Patto Atlantico, oltre le ricordate riforme) vide un logoramento della maggioranza. In particolare nelleterno contrasto inter-socialista Saragat credette a torto che il presidente volesse accordarsi con Nenni; e prese le distanze facendo cadere lultimo ministero De Gasperi, formato dopo le elezioni. A succedergli il candidato naturale era Piccioni, che di fatto ebbe lincarico dal presidente della Repubblica. Non è ancora del tutto chiaro perché Piccioni rinunciò, addirittura eclissandosi per alcune ore. Si disse che la segreteria politica retta da Fanfani ponesse veti per candidature ministeriali che Piccioni voleva soddisfare. Vi furono anche pressioni per entrarealle quali Piccioni non voleva accedere ma senza creare una conflittualità interna.

Nella impossibilità di un governo politicosi ricorse ad un gabinetto tecnico, affidato al ministro del Tesoro Pella con il compito di presentare e far approvare il bilancio dello Stato. Il distacco dei partiti alleati della Dc cominciò ad attenuarsi e i numeri cerano sembrò realizzabile un ritorno al governo politico, a formare il quale venne chiamato il segretario della Dc Fanfani, che non ebbe però le adesioni necessarie, non solo per la partecipazione ma anche per un semplice appoggio esterno. Il governo fu sconfitto sul nascere nel voto di fiducia. Ma lincubo della corda tesa che stava per spezzarsi indusse gli alleati storici ad uscire dallAventino e rientrare nella coalizione, affidata a Mario Scelba, tenace assertore del quadripartito. Piccioni andò a dirigere il Ministero della Giustizia, impostando subito innovazioni notevoli, come lo sganciamento della magistratura dalla piramide unica dellamministrazione statale.

Continua a leggere

http://www.30giorni.it/articoli_id_12625_l1.htm

Il video del convegno promosso dallIstituto Sturzo

https://www.youtube.com/live/4JiNAEo8zZ0?feature=share