Autonomie e sussidiarietà a fondamento della nostra Costituzione

Anche Macron, di fronte al secessionismo della Corsica, apre a una formula di maggiore decentramento. Al convegno di Tempi Nuovi il prof. Mirabelli ha ribadito il valore delle autonomie nel contesto di un’Italia unita e solidale.

Una simpatica ma significativa coincidenza ha voluto che il convegno di Tempi Nuovi dedicato alle autonomie locali si svolgesse a poche ore dalle dichiarazioni di Macron in Corsica. Il presidente francese ha infatti aperto al riconoscimento dell’autonomia corsa, intervenendo su un’antica e complessa questione che ha probabilmente avuto il suo momento più drammatico nell’omicidio del prefetto Claude Érignac per mano del Fronte di liberazione corso.
La coincidenza come dicevo ha un forte significato, ricordandoci come il tema delle autonomie e del rapporto fra livelli amministrativi sia centrale nella vita di qualsiasi istituzione politica. In Italia è fortemente tornato di attualità a causa del progetto dell’autonomia differenziata proposta dal ministero Calderoli che, come ha affermato il governatore Zaia durante una Pontida di qualche anno fa, rappresenta per la lega il motivo centrale dell’azione dell’attuale governo.

Il principio autonomistico è presente nella nostra Costituzione che all’articolo V “riconosce e promuove le  autonomie locali”. Come ha magistralmente spiegato il presidente Cesare Mirabelli aprendo l’appuntamento, lo fa tuttavia inserendo una “clausola di salvaguardia, affermando cioè che la Repubblica è “una e indivisibile”. Non si tratta solo dell’integrità territoriale della nazione, ma anche delle condizioni sociali e di vita dei cittadini delle varie regioni. Ecco perché ogni progetto di autonomia che si voglia pienamente coerente con la nostra costituzione deve necessariamente essere improntato ad un principio di solidarietà.
La lezione di Mirabelli, qui ingenerosamente sintetizzata, mi ha fatto pensare ad un testo casualmente letto questa estate. Si tratta del discorso tenuto da Guido Gonnella in occasione del congresso Dc dell’aprile 1946. Immaginando la forma della costituzione che avrebbe dovuto fondare la nuova Italia, Gonnella parlò di uno stato costituzionalmente decentrato, contrapponendo il decentramento allo sfasciamento dello stato.

Particolarmente interessante è inoltre l’idea che, oltre ad essere radicata nella storia stessa del nostro paese, la pluralità dei livelli amministrativi rappresenti una tutela della democrazia contro il dispotismo: se “l’autonomia locale è la cittadella della libertà”, il centralismo “è stato l’arma del dispotismo”. Ma è lo stesso Gonnella a richiamarsi ad una radice più antica dell’intuizione autonomista, cioè a quella rappresentata dal pensiero di Sturzo. Il tema è presente già al VI punto del programma dei Liberi e forti e, anche se non ho di certo la competenza riassumere la vastità dell’elaborazione politica di Sturzo sull’argomento, mi permetto di porre l’attenzione solo su un aspetto in particolare. Faccio riferimento ad un discorso tenuto a Napoli nel 1923 il cui tema non sono le autonomie ma il mezzogiorno. L’interesse di questo testo risiede appunto nel fatto che la questione delle autonomie viene guardata da sud. Fra le cause dell’arretratezza del mezzogiorno Sturzo pone infatti l’uniformità dell’azione legislatrice:
“Le leggi non sono creazione aprioristica di cervelli – siano pure come quello di Giove, dal quale uscì Minerva -; sono invece, e hanno un vero valore, un processo di realtà vissuta e concreta che, in un determinato momento critico, trovano la loro espressone morale, legale e la loro formula scritta. Questo processo dinamico della realtà economica e amministrativa dovrebbe essere lasciato all’adattamento locale: come avviene in Inghilterra, come in parte era nella vecchia Austria, come, per il sistema federativo di un tempo, aveva il suo naturale fondamento anche nella Germania di ieri. Invece l’Italia prese per modello la Francia, la Francia di Napoleone e la Francia repubblicana, dove la vita centralistica di Parigi assorbe e polarizza tutta la Francia, e dove la tradizione storica e l’ampio respiro economico assorbono le energie di provincia e spesso le annullano. Così le leggi scritte, stilizzate fino all’ultima virgola, i regolamenti di esecuzione sino ai più minuti dettagli, partono dal centro, dall’unità di dominio e di interessi”.

Ecco allora che nella prospettiva sturziana l’autonomismo non è necessariamente nemico del sud, ma può rivelarsi uno strumento di riscatto: “La redenzione comincia da noi! La nostra parola è questa: il Mezzogiorno salvi il Mezzogiorno! Così il resto dell’Italia riconoscerà che il nostro problema è nazionale e unitario, basato sostanzialmente sulla chiara visione di una politica italiana mediterranea e di una valorizzazione delle nostre forze”.
Certo, questo è possibile se come ci ha ricordato Mirabelli non si dimentica la parola solidarietà. Scrive Benedetto XVI in Caritas in Veritate: “Il principio di sussidiarietà va mantenuto strettamente connesso con il principio di solidarietà e viceversa, perché se la sussidiarietà senza la solidarietà scade nel particolarismo sociale, è altrettanto vero che la solidarietà senza la sussidiarietà scade nell’assistenzialismo che umilia il portatore di bisogno.” Sussidiarietà e solidarietà sono dunque le due parole d’ordine.

Un ultimo accenno. Fra qualche mese saremo chiamati a recarci alle urne per il rinnovo del parlamento europeo. Le difficoltà dell’Europa sono talmente note e discusse che sarebbe ridondante parlarne anche in questa sede. E tuttavia credo si possa affermare che il principio di sussidiarietà trovi anche lì una sua possibile applicazione: la massima autonomia possibile agli stati nazionali eccetto per quelle materie fondamentali per la nostra vita e che tuttavia, per le loro dimensioni, non possono essere affrontate se non a livello europeo. E tuttavia bisogna prendere coscienza che ciò rende ancor più impellente la formazione di una nuova presenza politica che in forza della sua tradizione possa farsi carico di questa esigenza, salvando l’Europa e forse la possibilità stessa della  politica in un mondo così complesso.