L’autore tratteggia del “mite Zac” l’indole romagnola (rivoluzionaria), la profonda fede religiosa che lo colloca tra utopia e realtà e che traspare dal suo pensiero soprattutto con riferimento al concetto evangelico “nulla è impossibile a Dio”. Nel solco arido della politica attuale, uno spiraglio di luce è rappresentato senza dubbio dal nuovo libro di Paolo Frascatore: Una democrazia più avanzata, La sfida di Benigno Zaccagnini (Arduino Sacco Editore). Il testo è preso dal nuovo numero 0 del periodico “Democraticicristiani – Per l’Azione” dell’Associazione Nazionale dei Democratici Cristiani (ANDC). In fondo all’articolo si può digitare il link per accedere alla pubblicazione in pdf.
L’autore riflette soprattutto sul pensiero e sul magistero politico di Benigno Zaccagnini in una fase della politica italiana tra le più difficili e drammatiche della storia della Repubblica.
E pur tuttavia, non si tratta di un semplice excursus storico, quanto invece di un’analisi che poggia su una base ideale solida che fa riferimento alle idee, ai comportamenti, alle abitudini quotidiane di un personaggio politico (ritenuto di secondo piano) che alla metà degli anni Settanta diviene, quasi per incanto, il punto di riferimento politico dei giovani e delle classi popolari più umili e disagiate della società italiana.
L’autore ne tratteggia l’indole romagnola (rivoluzionaria), la profonda fede religiosa che lo colloca tra utopia e realtà e che traspare dal suo pensiero soprattutto con riferimento al concetto evangelico “nulla è impossibile a Dio” per traslarlo all’interno dell’impegno politico come motivo più alto, più nobile nel convincimento che la politica non sia “l’arte del possibile, ma dell’impossibile”.
Nell’introduzione curata da Lucio D’Ubaldo, nel rilevare come questo nuovo sforzo politico-culturale dell’autore si inserisca in una sorta di genesi zaccagniniana legata alle origini riferibili alla sua terra (la Romagna), ad un’avversione consistente (emiliano-romagnola) verso tutto ciò che proveniva dalla Chiesa e dal mondo cattolico in generale, non manca di mettere in luce quanto abbia inciso la politica, le idee, la cultura e, soprattutto, il comportamento di Benigno Zaccagnini.
L’autore nel mettere in risalto i sentimenti popolari di allora legati ad un segretario politico della DC anomalo rispetto ai suoi predecessori, ma proprio per questo più vero, più amato e certamente più capace nel saper interpretare i bisogni reali ed essenziali (insieme alla valorizzazione della protesta giovanile legata soprattutto alle nuove idealità), ne traccia un quadro politico personale e generale con riferimento alla democrazia italiana, o meglio a quella sorta di “democrazia bloccata” alla quale in quegli anni fa riferimento una mente illuminata ed unica che porta il nome di Aldo Moro.
È uno scenario unico, irripetibile quello che va in onda alla metà degli anni Settanta in un’Italia flagellata dalla crisi economica, dall’inflazione galoppante, dalla svalutazione della lira, ma anche dall’esplodere del terrorismo che travolgerà nel giro di un biennio proprio quella mente illuminata di Aldo Moro.
In questo quadro Zaccagnini non svolge certamente un ruolo di secondo piano: convinto assertore della politica del confronto, interpreta le esigenze più vere della democrazia italiana.
Si tratta, per quanto riguarda la DC, di uscire dalle secche dell’uso del potere per fini elettorali nonché per favorire un naturale ricambio della classe dirigente.
Perché una democrazia sana, una politica ispirata dai valori vivono su un’esigenza ineliminabile: l’alternanza al potere tra forze politiche diverse, ma comunque rispettose della democrazia, della libertà e del riconoscimento dei diritti della persona umana.
Questa visione politico-sociale accompagna Benigno Zaccagnini lungo tutto l’arco del suo impegno politico per assumere alla metà degli anni Settanta quella che l’autore definisce quasi una missione nel saper intraprendere e guidare un processo democratico capace di educare e legittimare, nel contempo, il PCI alla democrazia occidentale e, quindi, all’assunzione di responsabilità politiche di Governo.
Non si tratta certamente, come sostenuto da alcuni, di compromesso storico: la “terza fase” della politica italiana disegnata da Moro è tutta in funzione dell’alternanza al potere tra le due maggiori forze politiche popolari.
La sfida (ripresa nel titolo del volume) che Zaccagnini lancia a tutte le forze politiche democratiche è proprio quella di contribuire alla realizzazione della “democrazia compiuta” per mettere definitivamente una pietra tombale sulla conventio ad excludendum nei riguardi del PCI e, allo stesso tempo, ridare una moralità di fondo ad un esercizio del potere che se protratto troppo a lungo senza un sostanziale ricambio di classe dirigente, scivola inevitabilmente nel malcostume, nella corruzione e negli scandali.
Il disegno politico moroteo e zaccagniniano non è certamente facile. L’autore ne rileva i contrasti sia interni (le forze politiche conservatrici, nonché alcuni settori della stessa DC), sia internazionali (USA ed URSS per ragioni diverse).
Questo saggio di Paolo Frascatore, nel mettere in rilievo anche queste ultime problematiche, si snoda sostanzialmente lungo il percorso politico-ideale che ha contrassegnato l’azione di Benigno Zaccagnini dal 1975 al 1980, ossia nel quinquennio del suo impegno politico quale segretario politico della Democrazia Cristiana.
Per leggere la rivista “Democraticicristiani – Per l’Azione