Resta alquanto difficile immaginare il pacifico “trasloco” al Colle del Presidente del Consiglio; ma è altrettanto difficile credere che una figura diversa da Mattarella possa assicurare la necessaria copertura all’attuale compagine governativa.

Il testo è preso dal nuovo numero 0 del periodico “Democraticicristiani – Per l’Azione” dell’Associazione Nazionale dei Democratici Cristiani (ANDC). In fondo all’articolo si può digitare il link per accedere alla pubblicazione in pdf.

Deve essere chiaro che la preferenza per il Mattarella bis non risponde alla premura di qualche conventicola di vecchi sodali, ma ruota attorno alla difesa dell’interesse generale del Paese. L’Italia ha ripreso a camminare, anche a passo lesto, dopo il lungo periodo di blocco provocato dalla pandemia. Ciò nonostante il caro bollette e l’inflazione gettano ombre pesanti sulla ripresa, stando anche agli allarmi di Bankitalia e Confindustria. Da parte sua il capo del governo è riuscito a garantire quell’equilibrio dinamico, per dir così, che la larga coalizione aveva come obiettivo all’atto della sua formazione. Non era scontato. A questo punto l’opinione pubblica si divide, anche perché a dividersi innanzi tutto è la politica: conviene avere Draghi al Quirinale o a Palazzo Chigi? Qui sta il nodo.

È più che logico ricavare dalle infinite e laboriose trattative, fino all’ultimo segnate dal protagonismo di Berlusconi, la difficoltà a uscire dall’incastro che obbliga a trovare il sostituto di Draghi alla guida del governo nel caso fosse eletto, appunto, alla massima carica della Repubblica. Per giunta, la soluzione deve assicurare la tenuta della maggioranza, altrimenti il rischio di mandare a gambe all’aria la legislatura assume contorni molto forti. Dopo l’annuncio di Berlusconi – una ritirata pressoché obbligata – è stata la Meloni a riproporre con piglio il ritorno anticipato alle urne. 

Insomma, resta alquanto difficile immaginare il pacifico “trasloco” al Colle del Presidente del Consiglio; ma è altrettanto difficile credere che una figura diversa da Mattarella possa assicurare la necessaria copertura all’attuale compagine governativa, tutelando perciò l’azione del premier nella prospettiva di un fine legislatura senza scosse. La connessione sembra resistere a qualsiasi colpo di fantasia.

È vero, infine, che Mattarella ha ripetuto in tutte le sedi e con grande energia la sua valutazione sulla inopportunità del doppio mandato, finanche suggerendo implicitamente di apportare un correttivo alla norma costituzionale. Sta di fatto però che l’eventuale rielezione, giustificata ampiamente per l’eccezionalità delle condizioni presenti, non si scontrerebbe con alcun divieto di ordine giuridico: il caso di Napolitano lo conferma. Guai però a scivolare nelle sabbie mobili dell’esperienza del 2013, quando il caos prodotto dalla gestione di Bersani, unitamente alle imboscate dei franchi tiratori, decretarono il fallimento di un’intera classe dirigente, poi costretta a ripiegare sulla conferma del Presidente in carica.  

Oggi serve prendere atto che la strada maestra passa per la difesa di un assetto politico, forse precario ma insostituibile.  Concentrarsi su questo aspetto, in sé decisivo, evoca la necessità di un garante supremo. E la figura di alto profilo, capace d’impersonare una candidatura largamente condivisa e adatta a preservare l’unità di fondo del Paese, esiste già: il suo nome è Sergio Mattarella. 

 

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