Bisogna difendere la Costituzione: Bodrato non mancava di ripeterlo con forza.

In questo articolo, pubblicato cinque anni fa, Bodrato segnalava le contraddizioni che segnavano il dibattito sulla crisi della democrazia. “Siamo consapevoli - scriveva - che le grandi trasformazioni (…) fanno discutere anche l’ordinamento costituzionale”.

Il 22 dicembre del 1947, l’Assemblea costituente, eletta un anno prima nello stesso giorno del referendum istituzionale, approva la Costituzione della Repubblica. I partiti che hanno votato quella Carta con una maggioranza che oggi sarebbe definita “bulgara” non siedono più nel parlamento. Ma i principi ed i valori sanciti dalla “Costituzione più bella del mondo”, che affonda le sue radici nella Resistenza, continuano ad essere un sicuro riferimento per il popolo italiano. Tuttavia siamo consapevoli che le grandi

trasformazioni verificatesi in pochi anni – in qualche caso impreviste e spesso irreversibili – stanno mettendo alla prova molte antiche convinzioni e fanno discutere anche l’ordinamento costituzionale.

 

 

 

Per questa ragione è bene partire dalla riflessione di alcuni politologi occidentali, secondo i quali  in tutto il mondo “stiamo assistendo al declino della democrazia ed al dilagare del populismo autoritario…”.  La globalizzazione e le straordinarie innovazioni che stanno mutando il mondo dell’economia e del lavoro, e lo stesso costume delle ultime generazioni, sarebbero all’origine della regressione della democrazia liberale; e tuttavia l’idea di recuperare sovranità con un ritorno al nazionalismo ed all’uomo forte sta diventando l’illusione da cui la democrazia – anche quella italiana – deve difendersi.

 

In realtà l’affermarsi del populismo autoritario nella Russia di Putin e nella Turchia di Erdogan ha una spiegazione: in paesi senza tradizioni democratiche, senza una vera opinione pubblica, con le elezioni i leader consolidano il loro potere personale; il plebiscito è uno strumento post-democratico, apre le porte alla dittatura ed è usato per confermarla.

 

Altri sono i pericoli che corre la democrazia nei paesi democratici dell’Occidente. Negli Stati Uniti gli elettori colpiti dalla crisi finanziaria del 2007 e “dimenticati” dai Democratici hanno votato Trump, e la destra repubblicana ha conquistato la Casa Bianca… Questa “rabbia popolare” non era del tutto imprevedibile. Sin dagli anni ’90, un autorevole editorialista aveva invitato i politici di Washington a riflettere sul solco che si stava approfondendo tra l’uomo della strada e l’establishment, ed aveva concluso mettendo in guardia sul rischio che correva la democrazia:“Un popolo che odia chi lo rappresenta rischia di perdere la libertà”.

 

Non solo in America, l’avversario diventa un nemico da distruggere, con il quale è impossibile dialogare. Anche nei paesi dell’Unione europea i movimenti populisti soffiano sulla paura dell’ondata migratoria, accusano i governi di impotenza nei confronti delle diseguaglianze prodotte dal liberismo, cavalcano in ogni occasione il giustizialismo; e propongono il ritorno ad un passato caratterizzato dalla “guerra civile” europea, nella illusione di recuperare una sovranità che è stata perduta proprio dagli stati nazionali…

 

Sinora i maggiori paesi della “Vecchia Europa” sono riusciti a reagire a questa regressione. In Francia l’onda lepenista, che ha conquistato la maggioranza dei voti operai, è stata fermata da un candidato “imprevisto”. Emmanuel Macron ha avuto il coraggio di andare contro corrente sulla questione più difficile: Europa. Aiutato dalla fortuna (che “aiuta gli audaci”) e da un sistema elettorale che ha giocato a suo favore, ha conquistato l’Eliseo. Ma in Austria, dove la destra estrema ha radici profonde, i conservatori sono stati costretti a governare con i nostalgici del nazismo: una alleanza che colpisce al cuore il progetto europeo. E riapre una contesa sui confini con l’Italia, come se non si fosse ancora conclusa la guerra del ’15/18.

 

E nei paesi dell’Est, già membri del Patto di Varsavia, si consolidano governi di destra che, con le loro politiche, mettono in discussione valori fondanti dell’Unione europea. L’Italia, dopo un referendum che ha diviso gli italiani su una proposta di riforma costituzionale che è stata respinta, è rimasta in attesa. L’incertezza, l’attesa, alimentano le paure, l’arma più efficace del populismo… In realtà nel populismo italiano si confondono tensioni anarchiche e tentazioni autoritarie. Il populismo è ciò che rimane della politica dopo il tramonto dei partiti di massa, partiti che avevano perduto credibilità e radicamento sociale ed avevano lasciato il campo all’indifferenza e all’antipolitica. Può vivere la democrazia senza partiti?

 

Il fatto su cui dobbiamo comunque riflettere riguarda la vitalità di una Costituzione che in occasione del referendum del 4 dicembre del 2016 è stata difesa anche da populisti  (penso in particolare ai 5Stelle) che fondano la loro strategia soprattutto sulla demolizione del passato della Repubblica. C’è una contraddizione nella posizione di quanti esaltano il sovranismo contro l’europeismo, ma riconoscono che il nazionalismo svolta fatalmente a destra e non dà risposte alle attese dei giovani; c’è una contraddizione in quanti si schierano per l’elezione diretta del premier contro la democrazia parlamentare, ma riconoscono che “un uomo solo al comando” è una minaccia per la democrazia; c’è una contraddizione in quanti propongono di vincolare i parlamentari al mandato, per impedire il dilagare del trasformismo, ignorando che l’art. 67 della Costituzione ha radici negli stessi valori costituzionali su cui si fondano l’indipendenza dei magistrati e la separazione dei poteri. Non si combattono i voltagabbana trasformando un parlamento di cittadini in un’assemblea di sudditi.

 

Un’ultima riflessione sulla crisi della nostra democrazia riguarda un tema caro alla tradizione dei cattolici democratici che hanno contribuito alla stesura della Carta del ’48 e sono stati educati a considerare l’azione politica “un servizio finalizzato al bene comune”. Sono incoraggianti le parole che papa Francesco ha dedicato al dovere dei laici cristiani di non restare indifferenti alla cosa pubblica, di mobilitarsi “per riabilitare la dignità della politica”, di incamminarsi “verso democrazie mature, partecipate, senza le piaghe della corruzione e delle colonizzazioni ideologiche”.

 

 

 

L’articolo è stato pubblicato sul settimanale della diocesi di Torino “La Voce e Il Tempo” (che dal 2014 ha unito i due precedenti giornali diocesani, “La Voce del Popolo” e “il nostro tempo”)