Cambio di paradigma: tutto è politica? No, tutto è consenso.

Sdegnarsi sarà nobile, ci dice il tecno-nichilismo, ma non è funzionale. Tuttavia, non ammettere o espellere ogni interpretazione 'politica' delle cose, manda in esilio la politica dalla realtà.

 

Profluvi di inviti a ‘non politicizzare’ ci sommergono in continuazione. Non politicizzare il caso Salis (Tajani, Matone, Donzelli & Co), non politicizzare l’Ucraina (Salvini), non politicizzare il dramma umanitario di Gaza, non politicizzare gli scontri tra studenti e polizia (Piantedosi), non politicizzare i suicidi nelle carceri, non politicizzare i naufragi dei barconi, non politicizzare la scuola, il lavoro, gli scioperi, la Chiesa, l’ambiente: insomma…tutto.

Qual è il messaggio che passa? Che la politica è una tossina, che va fuggita come una pestilenza, che se entra in gioco complica e allontana le soluzioni, e via di questo passo. Si è affermato il pensiero di Reagan il giorno del suo insediamento: “Lo stato non è la soluzione dei problemi, lo stato è il problema” (dopo venti anni l’opposto di John Kennedy).

La politica era ‘senso’ ma le funzioni hanno divorziato dal senso. Che bisogno abbiamo di complicarci la vita con la politica – e con quell’altra madre di tutte le rottamazioni, che commmina l’ergastolo sociale a chiunque gli sfugga la parola ‘ideologia’ (non ideologizzare ecc ecc) – se l’assistenza funzionalista di scienza e tecnica ci garantisce tutto e soprattutto subito? È l’im-mediatezza che scaccia ogni mediazione. Ma la politica cos’è, se non ‘mediazione’? Gestione di un’altra parola anch’essa scandalosa: interesse. ‘Inter-esse’, ovvero ciò che sta nel mezzo, prender parte alle cose di qualcuno e di lui con gli altri.

‘Non politicizziamo, per favore’ è negare che il trascinamento in catene mani e piedi di uno in un tribunale (di una democrazia europea) abbia una valenza politica, e che quindi debba avere una lettura e comprensione ‘politica’. È dire pertanto che se ci si risparmia una riprovazione, che per sua natura è lettura etica, sociale, culturale – ergo ‘politica’ -, si farebbe il bene dell’interessato. Sdegnarsi sarà nobile, ci dice il tecno-nichilismo, ma non è funzionale. 

Così si impara che i significati non significano più nulla, anzi sono un inciampo. Ai significati dell’espansione nazista ci penseremo dopo, intanto nel ’38 a Monaco si firma.

Così, con il differimento ad altro momento del ‘senso’, arriva il tempo in cui non si è più a tempo. Disdegnare, anzi non ammettere o espellere ogni interpretazione ‘politica’ delle cose, manda in esilio la politica dalla realtà. La quale viene spogliata di ogni senso, e valutata solo sotto l’unica dittatura che oggi ha in mano il mondo, la dittatura dei risultati.

Rendere inviso l”essere politico’ ai cittadini, e per di più agìto addirittura da uomini delle istituzioni, che al contrario dovrebbero farsi partigiani di una rianimazione della partecipazione politica (ad associazioni, enti, sindacati, partiti, pubbliche amministrazioni…una partecipazione alla proprie idee), non può che provocare, dopo l’assenza in tutti i primi quattro anni, lo star fuori della gente anche il quinto anno, quello del voto. 

Perché votare una ‘mediazione politica’ quando l’esperto di cui ho bisogno sembra far proprio al mio caso, disintermediandomi e liberandomi da  ogni perditempo e da ogni costrizione ad una riflessività più profonda (ma più soddisfacente)?

Abbiamo vissuto la riscoperta collettiva, e che per un po’ fu pure felice, della politica del ’68, quando vigeva lo slogan: ‘tutto è politica’. Esattamente il contrario di oggi.  La lettura della guerra del Vietnam fu eminentemente ‘politica’, quella delle guerre di oggi esclusivamente militare (= funzionale). Come qualcuno ha osservato, si è passati da ‘tutto è politica’ a ‘tutto è consenso’. E ancora ci si logora con le domande sul ‘misterioso’ successo dei populisti?