Il clown entra nel Palazzo e lo riduce a circo

Diventiamo indifferenti al Palazzo. Ma questa indifferenza ci ha portato alla non-indignazione quando il costume diventa ridicolo, clownesco, perché ormai ci sono sconosciuti anche i più semplici strumenti della riprovazione.

Se un clown si trasferisce in un palazzo, non diventa il Re, è il palazzo che diventa un circo. Antico proverbio turco. Questo proverbio attribuito alla saggezza popolare dei turchi di Costantinopoli che di Re ne avevano visti passare molti e forse anche qualche clown, ci conduce per mano a riflettere sulla gestualità del corpo con la quale noi italiani da sempre accompagniamo le parole. E non ci aiuta l’IA che con le emoticon e i gif ha codificato le emozioni dandoci molte scelte, togliendoci dall’imbarazzo di essere gli unici a rendere pubbliche le proprie emozioni e smarcandone anche il significato interiore. Quando il tempo lo passiamo a testa china sullo smartphone a compulsare sui tasti “faccine/emoticons”, il nostro strumento di comunicazione è cambiato; chiunque può fare l’esercizio al contrario è provare a descrivere con le parole l’emozione rappresentata da una faccina e sperimenterà la difficoltà di trovare nel suo vocabolario le parole perché non le usa da tempo preferendo le immagini. 

I nostri costumi sono cambiati di molto e in fretta senza che noi stessi ne avessimo il controllo, così ora non sappiamo più bene se le emozioni siano veramente le nostre o se le emozioni già vivono senza di noi. Persa la bussola di come ci si comporta in pubblico, dove era chiaro fino a qualche decennio fa che il privato era casa tua e il pubblico era quello fuori di casa tua, tutto è diventato pubblico e il privato è scomparso. Quindi ci comportiamo conoscendo un solo luogo quello pubblico, fisico e virtuale, poco cambia, e l’educazione e la disciplina sono inutili orpelli. 

E il Palazzo, specchio della Nazione, si è adeguato da tempo. Non che nel tempo non si sia mai gesticolato per qualche tiro mancino, oppure qualche ironica frase ad effetto o uno sberleffo, ma al di là delle occasioni pubbliche delle assemblee rappresentative dove il lazzo era ammesso da tempo, nelle Istituzioni vigeva un certo rigore nella forma pubblica perché era ammesso il sorriso ma non la risata sguaiata ed eccessiva, vietato gesticolare o fare versi gutturali o gridolini, o movimenti del corpo di accompagnamento alle frasi dell’interlocutore. Galateo istituzionale è chiamato, ma è una vuota definizione se non è accompagnata dalla disciplina nell’esercizio del ruolo e nello svolgimento delle funzioni che nessuno ti insegna ma che trovi nell’ esempio degli altri. 

E questo ci riporta al proverbio turco. Il clown figura principe della parodia, erede di quel giullare medievale intrattenitore di Corte, è colui che ti fa ridere con il suo comportamento grottesco, con la mancanza di modi e maniere (da cui lo scandinavo clown per indicare il rozzo campagnolo), che dal surreale trae la sua arte comica. Se costui entra in un palazzo non ne diventa il Re. Ma se il palazzo è già pieno di clown? E già! Il costume è cambiato dai tempi dei turchi di Costantinopoli, i quali avevano una loro etichetta di Corte, che dobbiamo supporre rigida, per cui il palazzo era il Palazzo del Re, centro di governo e di autorità della Nazione turca. Ma noi da tempo ormai assistiamo ad un costume diverso dove lazzi, schiamazzi, grida e gesticolazione sfrenata, sono diventati tanto comuni che ne siamo indifferenti. L’indifferenza al Palazzo ci ha portato alla non-indignazione quando il costume diventa ridicolo, clownesco, perché ormai ci sono sconosciuti anche i più semplici strumenti della riprovazione. 

Assistiamo annoiati all’ennesimo esempio di clownesca gestualità e la archiviamo come nota caratteriale personale, qualunque sia la persona che occupa la carica istituzionale. Siamo dunque  colpevoli, se vogliamo darci una colpa , della nostra indifferenza annoiata e superficiale, poiché non abbiamo colto il fondo della questione: se le Istituzioni ci rappresentano tutti, quelli che ridono e quelli che non ridono, allora esse non dovrebbero essere colpite dalla malia del clown per cui di ogni cosa si può fare scherno, se invece riteniamo che Palazzo non è il Palazzo ma è solo un edificio, allora chiunque lo abiti ha licenza di modi clowneschi, e a noi se ci va di ridere riflettendo se ci piace il circo o se ci convenga rapidamente uscire all’aperto fuori dal tendone.